by Sergio Segio | 23 Febbraio 2012 11:34
Le richieste di visto per l’America da parte di milionari cinesi si impennano, svelando la crescente volontà di emigrare in Occidente da parte di chi negli ultimi anni si è più arricchito grazie al boom economico. A descrivere tale fenomeno è la lettura incrociata di statistiche cinesi e americane che hanno per oggetto i ricchi di Pechino. Bank of China e Hurun Report hanno pubblicato uno studio sui circa 960 mila cinesi con beni superiori a 1,6 milioni di dollari arrivando a concludere che il 60% sta pensando di emigrare oppure ha già compiuto dei passi concreti per farlo. E la conferma arriva dagli Stati Uniti perché nel 2011 il governo federale ha ricevuto 2969 richieste cinesi di visti EB5, che possono riguardare interi nuclei famigliari e vengono concessi a persone che investono in America almeno un milione di dollari, creano 10 posti di lavoro oppure destinano 500 mila dollari per progetti in aree rurali o ad alto tasso di disoccupazione. Le richieste cinesi di visti EB5 nel 2007 erano inesistenti e due anni fa hanno toccato le 787 unità ma nel 2011 sono arrivate al 78% del totale globale. Si tratta di un balzo in avanti che investe anche il Canada perché un visto di tipo analogo ha ricevuto 2567 richieste cinesi nel 2011 rispetto alle 393 del 2009. La pressione sul Canada è stata a tal punto forte che il governo di Ottawa ha deciso di imporre un tetto annuale ai cinesi di 700 unità a partire dal 1Ëš luglio scorso con il risultato di raggiungere il quorum in appena sette giorni. Per una nazione con circa 1 milione di milionari (in dollari) e un numero di miliardari stimato fra 150 e 300, frutto di una crescita accelerata negli ultimi dieci anni, ciò significa la volontà da parte di chi può di andare a investire altrove quanto è stato guadagnato in patria. È l’indicatore di uno scontento che mette in dubbio l’efficacia della scelta di Deng Xiaoping di puntare alla fine degli anni Ottanta sulla modernizzazione economica per consolidare il consenso attorno al partito comunista cinese. Zhang Monan, ricercatore del Centro di informazione dello Stato di Pechino, ha spiegato quanto sta avvenendo con un commento su China Daily attribuendolo a «l’aumento esponenziale del costo della vita, la crescita dell’inquinamento, la carenza di Stato sociale e l’impatto del peso fiscale» arrivando a concludere che «olo rendendo la Cina più attraente si riuscirà a impedire la partenza» dei più facoltosi. Il Quotidiano del Popolo e l’agenzia di stampa Xinhua, controllati dal governo, hanno ammesso l’esistenza del problema pubblicando una serie di articoli per ammonire gli emigranti che investire in America può comportare perdite di danaro. «Vi offrono un pasto gratis ma può diventare una trappola» ha ammonito il China Youth Daily. Il Wall Street Journal è andato a cercare alcuni dei ricchi cinesi attirati dalla fuga verso gli Stati Uniti, trovando in Shi Kang un imprenditore rimasto affascinato dalla qualità dell’ambiente nell’entroterra americano, in Su Bin il figlio di un ufficiale dell’esercito interessato a investire gli averi in una nazione «dove il governo non ha troppo potere» e in Denj Jie il titolare di una fabbrica di ceramica intenzionato a far studiare la figlia 18enne in un ateneo vicino Toronto per consentirle di «avere un’educazione internazionale ed eventualmente andare a vivere in Europa». Si tratta di imprenditori con alle spalle fra 10 e 20 anni di attività ,orgogliosi dei risultati del modello economico voluto da Deng ma arrivati alla conclusione di voler espatriare per vivere in condizioni che giudicano migliori: meno corruzione e inquinamento, scuole migliori per le nuove generazioni. Ovvero, la declinazione dell’American Dream nel XXI secolo.
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