I silenzi del governo sulla stretta creditizia

by Editore | 27 Febbraio 2012 2:37

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IL Fondo taglia-tasse è slittato al 2013. Se tutto va bene entrerà  in vigore nel 2014. Il riordino degli ammortizzatori viene annunciato per il 2017. Le riforme di spesa non sono per questa legislatura.Farle pro forma ora per lasciarle in eredità  ai governi futuri è pura demagogia. Le leggi delega su fisco e ammortizzatori tramandate da una legislatura all’altra sono finite nel nulla. Anche le riforme posticipate non funzionano: ricordiamoci degli scaloni previdenziali diventati scalini. Meglio concentrarsi sulle riforme a costo zero che riguardano il presente, a partire dall’ingresso nel mercato del lavoro che abbassa produttività  e salari e dalla stretta creditizia che rischia di strangolare molte aziende. Aspetto non secondario, il credit crunch dà  spazio ad organizzazioni criminali che possono riciclare denaro sporco fornendo liquidità  ad imprese assetate.
In questi giorni sono più frequenti le interviste ai banchieri che ai calciatori. Immancabilmente negano di avere stretto i cordoni del credito. “Continuiamo a finanziare le imprese e le famiglie. Al massimo avremo tagliato la parte finanziaria degli impieghi.” Devo appartenere a questa categoria dato che la busta che ho aperto questa mattina, con l’insegna della banca di cui sono cliente da 30 anni, mi ha fatto la seguente “proposta unilaterale”: o accetto il raddoppio (dal 6 al 14 per cento) del tasso praticato se vado in rosso anche solo di mille euro, oppure devo cambiare banca. Tutto questo a seguito del “peggioramento delle condizioni generali del mercato”. Non credo di essere il solo ad avere ricevuto lettere di questo tipo. Sono perfettamente coerenti con l’ipocrisia dei banchieri che negano la presenza di una stretta creditizia. Tecnicamente non c’è un taglio degli impieghi, ma solo “repricing”. Ma non c’è grande differenza fra il tagliare i crediti alla clientela o renderli due volte più costosi di prima. Quella percentuale crescente di piccole e medie imprese che nelle indagini Isae-Istat sostengono di avere difficoltà  nell’accedere al credito si sono spesso viste proporre tassi troppo alti, piuttosto che negare del tutto l’accesso al credito.
La stretta decisa dalle banche può allungare la recessione, che sarà  comunque più dura del solito perché non abbiamo risorse per contrastarla. Quando le banche cominciano a prestare meno di quanto raccolgano, diventano un fardello anziché un volano per l’economia. Se ne dovrebbero essere accorti anche tutti quelli che se la prendono con l’economia di carta della finanza e la contrappongono all’economia reale. Se le banche smettono di trasformare i risparmi delle famiglie, che vogliono poter accedere rapidamente a quanto versato in banca in caso di imprevisti, in finanziamenti a lunga per le imprese, l’economia si blocca. Questa duplice funzione delle banche – incontro fra chi risparmia e chi investe e assicurazione-liquidità , cioè disponibilità  immediata di fondi in caso di imprevisti – oggi è fortemente compromessa. 
Cosa si può fare allora per contrastare la stretta creditizia? Sono in molti a chiedersi come mai le banche non diano alle imprese ciò che possono prendere a prestito a un tasso dell’1% della Bce, dopo che è stata creata la nuova lending facility. Il problema è che questo nuovo canale di finanziamento ha permesso alle banche a mala pena di compensare il calo della raccolta, il collasso del mercato interbancario e le difficoltà  nel finanziarsi emettendo obbligazioni. La Bce dovrebbe immettere altri 490 miliardi mercoledì prossimo. Speriamo anche che abbassi i tassi dato che l’intera area Euro sta entrando in recessione secondo le ultime previsioni della Commissione. Ma è obiettivamente difficile che, con l’inflazione che torna a correre, la Bce possa fare come la Fed oltreoceano, inventandosi nuovi strumenti per far affluire credito all’economia. La discesa dello spread ottenuta dal governo Monti è importante perchè rafforza la situazione patrimoniale delle banche e crea fiducia, contribuendo anche a ravvivare il mercato interbancario. Ma, come si è visto, anche questo non basta ad evitare la stretta creditizia. Inoltre il calo dello spread sarà  più lento se la recessione si allunga. 
In questo governo non mancano certo competenze sul sistema creditizio. Eppure l’esecutivo non sembra avere una strategia. Continua, ad esempio, a non esprimersi sugli accordi bilaterali con la Svizzera. Perché non unirsi alla crociata del Procuratore del distretto di New York contro le banche svizzere che favoriscono gli evasori? Servirebbe a ridurre la fuga di capitali oltrefrontiera. Non ci ha ancora detto, l’esecutivo, a quanto ammontano i debiti dello Stato nei confronti delle imprese. Possibile che la girandola di cifre vada dai 35 ai 120 miliardi? Un’operazione trasparenza potrebbe migliorare le percezioni dei mercati che, dopo tanto parlarne, ormai si aspettano di scoprire un debito occulto cospicuo. Se lo Stato riconoscesse questi debiti e si impegnasse a saldare una parte di questi in tempi anche lunghi, ma certi, questo darebbe modo alle imprese di potersi finanziare fin da subito usando i crediti verso la PA come garanzie. Aspettiamo ancora di sapere come il governo voglia rafforzare la concorrenza nel sistema bancario, grande assente nel decreto liberalizzazioni. Una misura di questa mancanza di concorrenza è nella discriminazione di prezzo che le banche fanno tipicamente a favore delle aziende partecipate e ai danni dell’impresa minore. Che soffre anche perché le garanzie dei Confidi (consorzi locali di garanzia fidi creati da associazioni di piccole imprese) non vengono valorizzate dalle banche nonostante le controgaranzie pubbliche. Vero che molte piccole imprese sono sottocapitalizzate, ma non è un problema risolvibile in questo momento. Può allora fare qualcosa il governo per promuovere la creazione di consorzi di piccole imprese che si finanzino direttamente sul mercato, emettendo congiuntamente (per diversificare il rischio) obbligazioni? La stretta creditizia è oggi meno intensa presso le banche locali e il credito cooperativo. Ma un’impresa che cambia banca può, in questo frangente, dare un’impressione di fragilità . Cosa si può fare allora per evitare che questi trasferimenti da una banca all’altra offrano un segnale negativo a chi potrebbe concedere il prestito? Accanto all’information sharing fra banche sui cattivi debitori, non ci può essere anche condivisione di informazione su chi ha sempre rispettato le scadenze, non si può avere un bollettino dei virtuosi accanto a quello dei protesti? Sappiamo che le banche custodiscono gelosamente le informazioni sui clienti “buoni” ma siccome non sembrano in grado di fare altro che procedere a tagli indiscriminati del credito, tanto vale che questa informazione venga trasferita alla nuova banca. Il problema, non lo neghiamo, è complesso ma sarà  ancora più complessa la recessione se non si cerca per tempo di ridurre la stretta creditizia.

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