by Editore | 24 Febbraio 2012 8:53
Dopo giorni di incontri più o meno alla luce del sole, adesso le tante lobby che arrivano qui per sostenere il loro emendamentino si devono accomodare sulle poltrone in corridoio. All’ora di pranzo viene chiusa la porta che divide il resto del piano dalle stanze vicino all’ufficio del presidente della commissione Industria, Cesare Cursi del Pdl. Un dettaglio? Mica tanto, perché è proprio là dietro che governo e relatori stanno riscrivendo pezzi interi del decreto legge sulle liberalizzazioni. Il percorso è ancora lungo, dopo il via libera della commissione serviranno ancora tre letture prima di trasformare in legge quei 98 articoli. Ma nei prossimi giorni ci sarà poco spazio per altre modifiche, la vera partita si gioca adesso. E il pressing dei lobbisti si è fatto davvero forte. Anche ora che la porta è chiusa, nel corridoio ci sono una ventina di irriducibili. Tessera ospite al taschino della giacca, cartellina sotto braccio, cappello metaforicamente in mano. E tutti a chiedersi, ma quella porta chi l’ha chiusa?
Il presidente della commissione Cursi dice che lui non c’entra nulla. La richiesta sarebbe arrivata direttamente dagli uomini del governo che stanno seguendo il decreto in questa fase. E soprattutto da Claudio De Vincenti, il sottosegretario allo Sviluppo economico pescato alla facoltà di Economia della Sapienza, molto infastidito dal clima di assedio delle ultime ore. Solo due giorni fa era stato direttamente il presidente Renato Schifani a dire che il «Senato lavora alacremente difendendosi da pressioni di lobby e corporazioni». E ieri lo stesso Schifani ha subito girato ai capigruppo la lettera del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sullo stop agli emendamenti fuori contesto, spesso ultima spiaggia del lobbista disperato.
Sembra quasi la legge del contrappasso. Proprio sul decreto liberalizzazioni era stato il Terzo polo a proporre un registro dei gruppi di pressione, per far emergere in qualche modo un’attività in Italia sotterranea. Ma nulla in confronto a quello che propose Beniamino Andreatta. Era il 1988, si discuteva del nuovo regolamento di Palazzo Madama. E così parlava il senatore dc: «I rappresentanti dei gruppi di interesse non possono accedere al palazzo salvo autorizzazione del presidente per utilizzare appositi locali dove esporre la loro posizione». Nemmeno in corridoio ma chiusi in una stanza. Forse anche allora le lobby partirono alla carica e alla fine l’emendamento Andreatta venne ritirato.
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