I crediti Niente pagamenti e zero prestiti in molti ora chiedono lo stato di crisi
Lo Stato paga tardi, troppo tardi e le imprese hanno nei confronti delle Pubblica Amministrazione una montagna di crediti che non riescono a riscuotere. E’ un vecchio e irrisolto problema dell’economia italiana, ma visti in tempi di crisi, i fallimenti aziendali e la disoccupazione, la questione sta assumendo toni drammatici. Da una parte le imprese soffrono perché non riescono ad ottenere prestiti dal sistema bancario, dall’altra i loro bilanci sono strozzati dai ritardi con i quali Regioni, Comuni, Province ed enti saldano i conti. Il monte-crediti delle aziende nei confronti delle pubbliche amministrazioni è stimato in 70 miliardi (che diventerebbero 100 se si tiene conto anche dei crediti fiscali), 50 dei quali già certificati. Una cifra enorme se si considera che in tutta Europa i crediti arretrati si fermano a quota 180 miliardi: ciò vuol dire che quasi la metà dell’insoluto europeo è “made in Italy”. Una marea di debiti che corrisponde a circa 5 punti di Pil nazionale e che sembra destinato a lievitare ancora per via dei crescenti ritardi.
CENTOTTANTA GIORNI
Lo Stato, si sa, non è mai stato puntuale nei pagamenti, ma la crisi economica e le condizioni dettate dai patti di stabilità (gli enti pubblici non pagano per evitare sforamenti di bilancio) ha trasformato i tempi lunghi in lunghissimi. La Cgia di Mestre fa notare che i ritardi, negli ultimi due anni, sono aumentati di 52 giorni e che il pagamento alle imprese arriva, in media, tre mesi dopo quanto previsto dal contratto. Il gap con le altre economie europee è mortificante: in Germania chi lavora con la Pubblica Amministrazione sa che a distanza di soli 35 giorni vedrà saldati i suoi conti; nel Regno Unito di giorni ce ne vogliono 47; in Francia si sale a 64. Niente a che vedere con il record italiano: da noi – in media – l’impresa intascherà i crediti dopo ben 180 giorni. Sei mesi di estenuante attesa (ma nei casi estremi si può arrivare addirittura ai due anni) che spesso hanno un pesante risvolto economico: il mancato pagamento dei crediti costa alle imprese (quelle che riescono a finanziarsi tramite il settore bancario) circa 10 miliardi l’anno di interessi sui prestiti.
EMERGENZA EDILIZIA
Fra i settori più a rischio c’è l’edilizia che vanta, da sola, circa 30 miliardi di crediti mai riscossi nei confronti dello Stato. Una pioggia di liquidità negata a grandi e piccole imprese che sta generando fallimenti e licenziamenti a catena: dall’inizio della crisi ad oggi l’edilizia ha perso 400 mila posti di lavoro. Un emorragia che preoccupa sia i sindacati (che hanno organizzato per sabato prossimo a Roma una manifestazione nazionale) e sia le imprese. Il comitato di presidenza dell’Ance, l’associazione dei costruttori, ha già dichiarato il default e oggi dovrebbe inviare una lettera al premier Monti per chiedere lo stato di crisi del settore.
LA SANITA’ CHE NON PAGA
La palma del debitore va invece al settore sanitario: sono circa 40 i miliardi (stima Cgia di Mestre) che gli enti dovrebbero saldare alle aziende fornitrici di beni e servizi, ditte farmaceutiche e biomedicali. Una cifra dovuta all’accumulo di ritardi su ritardi: circa il 70 per cento dei debiti fa capo a strutture ospedaliere del Centro-Sud.
I RIMEDI
Per arginare il problema qualcosa si è fatto, ma gli interventi finora attuati o programmati sono solo una piccola goccia nel mare. Accantonata l’idea di pagare i debiti della Pubblica Amministrazione distribuendo alle aziende titoli di Stato (ipotesi espressa qualche tempo fa dal ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera) ora sul piatto ci sono i due miliardi in arrivo dalla Cassa Depositi e Prestiti. Confluiranno in un fondo rotativo che dovrà sostenere l’azione delle banche nell’assorbimento dei crediti delle imprese nei confronti dello Stato. Qualche istituto bancario (pochi) si è già mosso in questo senso: Biis del gruppo Intesa San Paolo, per esempio, negli ultimi quattro anni ha acquisito crediti verso la Pubblica Amministrazione per circa 10 miliardi. In massima parte si tratta di crediti sanitari verso regioni (Campania, Lazio, Abruzzo in prima fila). Tornando alle risorse in campo, un intervento è stato previsto anche nel decreto sulle liberalizzazioni in discussione al Senato (e sul quale entro venerdì sarà posta la fiducia): l’articolo 35 parla infatti di un recupero di fondi dal bilancio dello Stato per un totale di 5,7 miliardi di euro da mettere a disposizione per i pagamenti alle imprese.
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