I COSTI OCCULTI DELLA POLITICA

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Il mondo politico è costretto ad occuparsene. Ma, per le stesse ragioni per cui non siamo mai riusciti in passato a trovare una soluzione soddisfacente, c’è da dubitare che la troveremo ora.
Il rapporto fra il denaro e la politica è il più complicato, e il più importante, fra quelli che riguardano il funzionamento della democrazia. Le soluzioni adottate nei Paesi occidentali sono differenti ma, grosso modo, si ispirano all’una o all’altra di due «filosofie», quella che punta sul ruolo dei privati, dei contributi volontari, e quella che punta sul ruolo dello Stato. Nella pratica, si danno per lo più situazioni miste, che combinano, in proporzioni variabili, finanziamenti privati e contributi pubblici.
Sia la soluzione «liberale» (enfasi sul ruolo dei privati) sia la soluzione «statalista» (enfasi sul finanziamento pubblico) hanno vantaggi e svantaggi. Il vantaggio della soluzione liberale è che lascia ai cittadini la libertà  di finanziare le forze politiche che preferiscono. Lo svantaggio è che, se non intervengono correttivi (tetti per i contributi dei privati e/o per le spese elettorali), la soluzione liberale può accrescere di molto l’influenza politica degli abbienti rispetto a quella dei non abbienti.
Il vantaggio della soluzione «statalista» è che riduce, teoricamente, il peso delle disuguaglianze di reddito. I suoi svantaggi sono però numerosi: statalizza i partiti; obbliga ciascun contribuente a finanziare con le sue tasse anche i partiti che detesta; scoraggia la propensione dei cittadini a sostenere con il proprio denaro le proposte politiche (scoraggia, cioè, una forma importante di partecipazione civica e politica); e infine, (cosa che ci riguarda da vicino) crea, all’interno dei partiti, forti e invisibili centri di potere che, controllando le risorse, se ne servono non solo nella lotta «fra» i partiti ma anche in quella «dentro» i partiti.
Negli Stati Uniti, patria, insieme alla Gran Bretagna (che però pone vincoli rigidi alle spese elettorali), della soluzione liberale, esiste, come è noto, un serio problema di squilibrio nella capacità  di influenza politica, a sua volta dovuto al divario nella capacità  di finanziamento, fra big business e cittadini comuni. Una sentenza della Corte suprema del 2010 ha aggravato il problema eliminando i tetti ai contributi. Il che contribuisce oggi a spiegare il grande afflusso di danaro per la campagna del repubblicano Mitt Romney. Si ricordi però che in varie occasioni, nella storia elettorale americana, i candidati con più risorse finanziarie sono andati incontro a sonore sconfitte. E si ricordi anche la campagna di Obama che, col suo carisma, riuscì a mobilitare un numero altissimo di piccoli finanziatori, cittadini comuni appunto. In vari Paesi europei si cerca di mantenere un equilibrio fra finanziamenti pubblici e privati: ci sono finanziamenti pubblici (diretti o sotto forma di rimborsi) ma i finanziamenti privati — aperti, trasparenti — sono incoraggiati.
In Italia non siamo mai riusciti a trovare un equilibrio decente. Al punto che un intero sistema politico crollò, con Mani Pulite, sotto il peso dei finanziamenti illegali. Ha sempre pesato la nostra indisponibilità  a stabilire un rapporto «laico», non ideologico, fra denaro e politica. Per antichi pregiudizi non abbiamo mai valorizzato il ruolo del finanziamento dei privati. Come se, una volta reso trasparente e regolato, non fosse una forma preziosa di partecipazione democratica. E come se il valore delle proposte dei partiti non si misurasse anche sulla base della disponibilità  dei cittadini a finanziarle. I risultati di questa chiusura ideologica sono sempre stati l’assenza di trasparenza e la somma di finanziamenti o rimborsi pubblici (che creano opachi centri di potere ruotanti intorno alle tesorerie di partito) e di finanziamenti privati coperti e, spesso, illeciti, anziché aperti e leciti.
Lo studio più approfondito sul rapporto fra denaro e politica in Italia risale a dodici anni fa (Massimo Teodori,Soldi e partiti). Il libro portava in appendice un progetto di legge messo a punto, insieme all’autore, dal costituzionalista Beniamino Caravita, che varrebbe la pena di riprendere. Stabiliva che le erogazioni ai partiti da parte di persone fisiche e di società  dovessero essere libere e detassate (entro certe soglie). Prevedeva inoltre rimborsi pubblici di ammontare non superiore all’entità  dei finanziamenti privati, tetti alle spese elettorali, un registro nazionale dei partiti, un Comitato di garanzia indipendente per sovraintendere alle operazioni di finanziamento. Un aspetto cruciale del progetto riguardava il fatto che i finanziamenti dei privati, al pari dei rimborsi pubblici, dovrebbero andare direttamente ai candidati (o alle liste circoscrizionali). Se adottato, il progetto sbaraccherebbe in un sol colpo quei centri di potere occulto che, come la vicenda Lusi mostra, quasi tutti i politici (nonostante le meritorie denunce di Arturo Parisi) fingono di non conoscere.
Sarebbe ora di trovare una soluzione decente. C’è da temere che non la cercheranno.


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