Grilli parla di Eurobond ai grandi di Wall Street

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E quello che vede nel Paese appare a questo punto più convincente rispetto anche solo a pochi mesi fa. Il ritorno degli investitori americani sui titoli del debito pubblico italiano potrebbe essere il primo dividendo della visita del governo negli Stati Uniti della scorsa settimana.
È stato sicuramente determinante il tour di Mario Monti, giovedì alla Casa Bianca e venerdì negli incontri di New York con moltissimi degli uomini più influenti di Wall Street. Ma il premier è stato preceduto da una diplomazia discreta, come spesso ama fare quando viaggia all’estero, che ha preparato la parte newyorkese della missione. Giovedì scorso, mentre Monti era da Barack Obama, il viceministro dell’Economia Vittorio Grilli ha incontrato uno a uno, prima a pranzo e poi a cena, tutti i principali protagonisti della piazza finanziaria americana: i numeri uno di grandissime banche come Llyod Blankfein di Goldman Sachs o i gestori dei più vasti fondi speculativi come George Soros (l’uomo che contribuì al crollo della lira nel ’92), Paul Tudor Jones (che previde il «lunedì nero» dell’87) o John Paulson, l’investitore divenuto multimiliardario per aver visto arrivare prima degli altri il crollo dei mutuisubprime.
A loro, secondo varie fonti, Grilli ha presentato una requisitoria in più parti a favore del proprio Paese e dell’euro. Il viceministro ha dimostrato, cifre alla mano, che l’Italia ha i flussi di bilancio pubblico più sani in Europa (al netto del pagamento degli interessi), ha ricordato la riforma delle pensioni e ha spiegato perché il debito può calare del 3% (o più) del Pil ogni anno già  dall’anno prossimo. Poi è andato oltre, ha parlato della riforma del lavoro e ha illustrato l’impatto delle liberalizzazioni sulla crescita. Agli «hedge fund», Grilli ha citato uno studio della Banca d’Italia secondo il quale le misure di apertura del mercato, dopo una lunga stagnazione, possono far salire la produttività  del 15% in dieci anni (in realtà  Via Nazionale stima l’11%). Questa, ha concluso l’emissario del Tesoro, è l’eredità  che il governo intende lasciare ai suoi successori dopo il marzo 2013.
Ma soprattutto Grilli con i grandi capitani di Wall Street ha parlato di politica europea. La svolta dell’Italia, ha detto, ha stemperato di molto le tensioni con la Germania: la cancelliera Angela Merkel non ha più ragione di temere che Roma tiri i remi in barca sul rigore non appena l’Europa offre un sostegno. A partire da questa realtà  il clima è cambiato e ora c’è più coesione anche in Europa nel lavorare a un piano di ulteriore apertura del mercato unico. Questa, secondo la presentazione di Grilli a Wall Street, è la prossima tappa del negoziato europeo; ma il viceministro ne ha prevista anche una successiva: se e quando la tensione di mercato di placherà , Grilli conta che si arrivi davvero a parlare di Eurobond con Berlino e Parigi. 
Dalle prime reazioni, i protagonisti di Wall Street sono stati favorevolmente impressionati. Non lo sono invece i funzionari del Fmi, a partire dal primo vicedirettore generale, l’americano David Lipton. Il Fondo preme per offrire assistenza finanziaria, ma l’Italia ha messo in chiaro che non ha bisogno. C’è irritazione da entrambe le parti e intanto l’avvio dell’annunciato «monitoraggio» del Fmi viene rinviato di settimana in settimana. Finche, sperabilmente, ci se ne dimenticherà 


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