Grecia, torna l’ipotesi default in pochi credono al nuovo piano senza euro più turisti e capitali

by Editore | 15 Febbraio 2012 7:34

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Per fare domanda, c’è tempo fino a venerdì: per i suoi uffici di Francoforte – avverte l’apposita bacheca online – la Banca centrale europea cerca due economisti che vadano a rimpolpare la divisione Gestione Rischi. Con la marea di titoli a pegno che stanno affluendo a Francoforte, nel quadro dei megaprestiti alle banche lanciati da Mario Draghi, in effetti, il “risk management” – normalmente non un’attività  di primo piano per un istituto di emissione – si avvia a diventare un pilastro cruciale del lavoro quotidiano della Bce. Anche perché i prossimi mesi si annunciano forse più tormentati di quelli appena trascorsi. L’ennesimo piano di salvataggio della Grecia, infatti, non è ancora decollato e i prossimi passaggi (il via libera Ue, l’accordo con i creditori privati, il voto dei Parlamenti) sono tutt’altro che scontati. Ma, fin d’ora, fra operatori, analisti, economisti e politici si sta facendo largo l’idea che il piano serva solo a guadagnare qualche mese. «Presto – ha scritto Wolfgang Munchau sul Financial Times – bisognerà  intervenire nuovamente a tagliare il debito greco. E questo non è neanche lo scenario più pessimistico». Sono in molti, infatti, a invocare ormai apertamente un default di Atene, l’annuncio che, puramente e semplicemente, non intende pagare i suoi debiti. L’aspetto inquietante è che a dirlo, ora, sono sia gli economisti di scuola anglosassone, convinti che l’euro e la Grecia si salvano solo con massicci interventi diretti della Bce, sullo stile della Fed americana, che politici tedeschi, olandesi, lussemburghesi che, sino ad ora, avevano insistito sulle proprietà  risananti dell’austerità .
In parte, è un riflesso della sfiducia nell’impegno effettivo della classe dirigente di Atene. Negli ultimi due anni, i governi greci hanno più volte promesso interventi drastici, in materia di liberalizzazioni, privatizzazioni, lotta all’evasione, tagli agli sprechi, che non si sono poi materializzati. In parte, però, è anche un mancato riconoscimento di quanto i greci, in effetti, hanno fatto. In soli tre anni, il disavanzo pubblico primario (cioè senza i drammatici interessi sul debito) è sceso in misura pari all’8% del prodotto interno lordo. La Grecia è anche l’unico paese della Ue, in cui il costo del lavoro si sia ridotto (e non di poco: 5,4%) rispetto alla media degli altri paesi. In realtà , tuttavia, il fallimento del risanamento greco è, in buona misura, conseguenza diretta dei parametri irrealistici che l’Europa aveva imposto. Come ridurre il disavanzo dal 15 al 3% del Pil entro il 2014 o tagliare il debito dal 160 al 120% del Pil entro il 2020. Questo calendario accelerato ha reso ancora più controproducente la ricetta d’austerità  imposta all’economia greca. I tagli hanno aggravato la recessione: fra il dicembre 2010 e il dicembre 2011 il Pil greco è sceso del 7%, una percentuale da Grande Depressione anni ’30. In queste condizioni, se l’economia non riprende, ridurre il debito è, praticamente, impossibile.
Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, ha recentemente ammesso che il programma di risanamento greco non riuscirebbe comunque a ridurre l’incidenza del debito greco sul Pil al di sotto del 136%, anziché il 120. In realtà , non fa molta differenza. Il 120% è un parametro puramente occasionale, probabilmente scelto perché è esattamente il rapporto debito/Pil italiano. La differenza è che l’Italia ha una ricchezza privata e una struttura industriale, fortemente indirizzata alle esportazioni, che rendono quel debito, in condizioni normali, come ha più volte sottolineato la Banca d’Italia, indesiderato, ma sostenibile. La Grecia non ha queste carte da giocare. Ecco perché molti economisti ritengono che, anche un debito al 120% non sarebbe sostenibile: ovvero la Grecia, anche se attuasse tutti gli impegni, non potrebbe, senza ulteriori aiuti, pagare i creditori.
Quale strada allora? Il default, dicono gli stessi economisti. Uscendo dall’euro, con una moneta fortemente svalutata, la Grecia potrebbe riguadagnare competitività , attirare turismo e investimenti, riprendere a crescere. Il prezzo da pagare sarebbe una crisi ancora più grave nell’immediato, avvelenata da fiammate inflazionistiche. L’alternativa, per far tornare l’economia greca competitiva, tuttavia, insistono, non c’è: i più maligni osservano che, per portare la Germania Est più vicina al livello della Germania Ovest ci sono voluti vent’anni e migliaia di miliardi di euro di investimenti e di tasse di solidarietà . Una prospettiva, oggi, impensabile a livello europeo.
In realtà , la Grecia è destinata, probabilmente, a rimanere ancora in bilico nei prossimi mesi. Il ciclo elettorale 2012-2013 potrebbe modificare gli equilibri politici in Francia e Germania e modificare le strategie anti-crisi. Più semplicemente, l’ultimo programma di risanamento, se approvato, potrebbe funzionare meglio di quanto prevedano gli scettici. Resta da capire perché l’idea di un default, recisamente esclusa fino a pochi mesi fa, sia oggi materia di aperto dibattito. I motivi sono due. Il primo riguarda la Grecia: con un disavanzo, al netto degli interessi, vicino al 5%, Atene non è troppo lontana dal punto in cui, se facesse bancarotta e smettesse di pagare quegli interessi, potrebbe comunque assicurare il funzionamento dello Stato, senza essere costretta a cercare nuovi (e improbabili) prestiti. Il secondo riguarda i minori pericoli di contagio agli altri paesi deboli d’Europa. Italia e Spagna sembrano, oggi, più solide. Le banche europee, a parte quelle greche, hanno avuto il tempo di smaltire il grosso dei titoli di Atene dai loro portafogli e paiono in grado, grazie alle operazioni di liquidità  della Bce, di assorbire meglio le perdite. I tedeschi per primi si sono preoccupati di far sapere che il programma di aiuti al Portogallo (il primo indiziato di contagio dalla Grecia) proseguirà  senza sbandamenti. Il terremoto sui mercati, insomma, potrebbe essere contenuto. Non sarebbe la prima scommessa azzardata dell’Europa, in questi due anni di crisi. Finora, le ha, quasi sempre, rimpiante.

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