Grecia sul baratro. Monti: l’Italia ora non rischia

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BRUXELLES – «Siamo ad un passo dall’accordo finale ad Atene», proclama il presidente della Commissione, Barroso, al termine di una giornata che i mercati hanno vissuto all’insegna dell’ottimismo sulla possibilità  di una doppia intesa tra il governo greco, le banche creditrici e i partiti politici che dovrebbero accettare una nuova serie di tagli alla spesa pubblica.
Ieri sera, in effetti, il premier greco Lucas Papademos, un tecnico già  vicepresidente della Bce, era ancora a colloquio con il rappresentante dell’associazione internazionale delle banche, Charles Dallara. In discussione, un taglio concordato di circa il 70 per cento sul valore dei titoli greci in mano agli istituti di credito e ai grandi operatori finanziari. Se venisse accettato, questo «haircut» ridurrebbe di circa cento miliardi l’importo del debito greco, riportandolo al 120 per cento del Pil: una quota giudicata sostenibile dagli esperti del Fondo monetario e della Bce che assistono il governo ellenico.
La riunione prevista in tarda serata tra Papademos e i segretari dei tre maggiori partiti greci, è invece stata rinviata a oggi pomeriggio, forse per il prolungarsi dell’incontro con le banche.
Dopo l’interruzione dei negoziati, domenica, i leader parlamentari dovranno accettare un pacchetto di riforme che l’Europa pone come condizione per elargire il secondo prestito di 130 miliardi di euro, che dovrebbe consentire di mettere in sicurezza i conti di Atene. Tra le misure richieste, il taglio di 15 mila posti nella pubblica amministrazione entro il 2012, una ulteriore riforma delle pensioni e la riduzione del 20 per cento del salario minimo. Il pronunciamento definitivo del governo probabilmente non arriverà  prima del week end.
Senza una intesa su questi punti, l’Unione europea non darà  via libera al prestito e a marzo la Grecia potrebbe trovarsi in bancarotta.
E l’ipotesi di un «default» greco sta cominciando a dividere l’Europa. Ieri la commissaria olandese Neelie Kroes ha dichiarato che una uscita della Grecia dall’euro «non sarebbe la morte per nessuno», subito spalleggiata dal suo governo, il cui primo ministro, Rutte, ha detto che senza la Grecia «sarebbe diminuito il rischio di contagio» nella zona euro. E’ dovuto intervenire Barroso a ristabilire l’ortodossia. «Noi vogliamo che la Grecia resti nell’euro – ha detto Barroso – anche perché i costi di una sua uscita sarebbero superiori a quelli del suo salvataggio». Si sa che la questione divide anche il governo tedesco, con la Merkel favorevole ad una permanenza della Grecia nella moneta unica, il suo ministro delle Finanze, Schauble, più possibilista su una uscita, e gli alleati liberali della coalizione che da tempo auspicano una bancarotta di Atene.
Sul tema è intervenuto ieri anche il presidente del Consiglio in una intervista alla tv americana alla vigilia del suo viaggio a Washington.
Secondo Monti, oggi l’Italia «è molto meno esposta al rischio di un «default» della Grecia rispetto a pochi mesi fa, quando le conseguenze di un contagio sarebbero state estremamente serie». Tuttavia la crisi della zona euro, ha spiegato, « ha fatto riemergere vecchi fantasmi e pregiudizi tra il Nord e il Sud dell’Europa e molto risentimento reciproco». Per questa ragione «è molto, molto importante che tutti noi facciamo grande attenzione ad evitare che qualcosa che avrebbe dovuto diventare il punto culminante della costruzione europea, vale a dire la moneta unica, si trasformi invece, con i suoi effetti psicologici negativi, in un fattore di disintegrazione dell’Europa».


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