by Editore | 6 Febbraio 2012 4:46
ROMA – La Grecia torna ad essere la mina vagante dei mercati. Alla riapertura di oggi, dopo una settimana tutto sommato positiva per le Borse europee, il primo ministro di Atene, Lucas Papademos si presenta quasi con un nulla di fatto. Al termine di un vertice fiume, durato cinque ore, la trattativa con i tre partiti della coalizione di governo su altre, dolorose, riforme indispensabili a soddisfare le richieste della troika, Ue-Bce-Fmi, in cambio di nuovi aiuti, si è arenata. In porto, solo l’impegno a tagliare la spesa per l’1,5% del Pil nel 2012 e una intesa molto “light” «sui punti base», come fa sapere Papademos a fine giornata. I colloqui riprenderanno oggi, tuttavia il segnale è pessimo. Sfumato il pieno accordo interno, lo scenario greco torna a complicarsi, soprattutto perché senza un piano concreto e condiviso entro il 13 febbraio, per la Grecia sarà impossibile rimborsare i 14,5 miliardi di titoli del debito pubblico che scadono il 20 marzo. E dunque il default, l’insolvenza, è a un passo.
La domenica di Atene parte in salita. Il primo incontro è con i funzionari di Europa e Fondo monetario. Papademos ha già letto l’intervista al presidente dell’Eurogruppo sul settimanale tedesco Der Spiegel. Se il governo non metterà presto in atto le riforme promesse – è costretto ad ammettere il lussemburghese Jean-Claude Juncker – la Grecia potrebbe fallire nel giro di due mesi e non ci si potranno attendere «gesti di solidarietà da parte degli altri». La troika rincara la dose. Chiede a Papademos altri tagli alla spesa e ulteriori liberalizzazioni. In cambio, lo sblocco della scialuppa di salvataggio da 130 miliardi di euro. Soldi stanziati già in ottobre – è il secondo piano di aiuti – ma non più scontati, visti i deboli effetti del risanamento tentato da Atene. I creditori internazionali non sono disposti ad aprire i rubinetti senza ulteriori garanzie. Le richieste sono chiare: abbassamento dei salari minimi, taglio delle tredicesime anche nel privato, intervento sulle pensioni complementari, una rasoiata pari all’1% del Pil – circa 2 miliardi di euro – nel 2012 dei bilanci pubblici, inclusi difesa e sanità , licenziamenti, prepensionamenti (150 mila). Senza un impegno scritto sui tagli, addio a 130 miliardi e incubo bancarotta alla porta.
Il premier Papademos, in corsa contro il tempo, convoca d’urgenza i leader dei tre partiti di coalizione e chiede loro un sostegno pieno al piano di riforme di Ue-Bce-Fmi. Ma Georges Papandreou (socialisti), Antonis Samaras (destra) e Georges Karatzaferis (estrema destra) si sfilano. Alla fine l’accordo si limita al taglio delle spese per l’1,5% del Pil. «Non consentirò misure che portino a una maggiore austerità », dichiara Samaras al termine del lungo braccio di ferro. «Non voglio contribuire all’esplosione di una rivoluzione», aggiunge Karatzaferis. Vanificati così gli sforzi di mediazione di Papademos che in giornata chiama pure il presidente della Bce, Mario Draghi, e il direttore generale dell’Fmi, Christine Lagarde per chiedere un appoggio nelle trattative. La fumata nera di Atene sarà al centro del bilaterale di oggi tra il presidente francese Sarkozy e la cancelliera tedesca Merkel. E poi anche dell’Eurogruppo di mercoledì prossimo, convocato proprio per parlare della Grecia e del rischio default.
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