Grecia Basta con la terapia d’urto

by Sergio Segio | 15 Febbraio 2012 18:22

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Le ultime notizie provenienti da un’Europa divisa danno una nuova cifra record per le esportazioni tedesche, che superano i mille miliardi di euro. La congiuntura è decisamente positiva, i redditi fiscali aumentano, la disoccupazione diminuisce e di fronte ai buoni risultati [il sindacato] Ig Metall chiede un aumento del 6,5 per cento degli stipendi. Insomma, la Germania è diventata una sorta di oasi felice.

E ora passiamo alla Grecia, un paese sconvolto dalla crisi. Sotto la pressione della troika Ue-Bce-Fmi, il governo di larghe intese ha deciso di imporre una nuova serie di misure di rigore. Gli stipendi dovrebbero scendere dal 20 al 30 per cento. Entro il 2015 150mila persone dovrebbero essere licenziate nella pubblica amministrazione. L’economia è in recessione e quest’anno dovrebbe far registrare un meno 8 per cento. E il paese non ha ancora scongiurato un fallimento.

Tuttavia il secondo piano di aiuti dell’Ue – dell’ammontare di 130 miliardi di euro – è ancora bloccato. I ministri delle finanze della zona euro dubitano che il governo Papademos sia in grado di far applicare le misure di rigore annunciate. Un dubbio lecito, visto che i tagli già  ordinati non hanno dato i risultati auspicati e non fanno che aggravare la situazione, e che i greci oppongono una resistenza ostinata al programma di pauperizzazione del loro paese.

Possiamo parlare della prospettiva di un’Europa unita? La terra di origine della cultura e delle democrazie occidentali, trasformata di fatto in protettorato di Bruxelles – e senza speranza di un miglioramento. Un continente sempre più diviso fra un Nord ricco e un Sud misero, dove la gente non sa più come procurarsi il pane quotidiano. Nel frattempo, in Germania la coalizione al potere ipotizza una riduzione delle imposte.

Non possiamo rimanere indifferenti di fronte a quello che succede nel resto del continente. E non solo perché questo alimenta il rischio di una radicalizzazione politica e di un ritorno del nazionalismo, come potremo constatare alle prossime elezioni in Grecia. Dobbiamo preoccuparci della possibilità  che lo sviluppo promosso da Berlino metta in pericolo il nostro modello di sviluppo.

L’economia tedesca infatti si arricchisce solo perché le nostre imprese fanno affari sulle spalle dei paesi più deboli. Ma in futuro chi potrà  permettersi i prodotti tedeschi? Non è la Grecia che approfitta dei programmi di salvataggio dell’euro, ma la Germania. Se infatti la Grecia dovesse fallire, anche le banche tedesche perderebbero miliardi, a scapito dei contribuenti tedeschi. E se si dovesse tornare al deutsche mark, questa moneta sarebbe drammaticamente sopravvalutata. Il costo dei prodotti tedeschi aumenterebbe del 40 per cento, sarebbe la fine del modello tedesco sostenuto dalle esportazioni.

Nell’Europa meridionale, e non solo in Grecia, c’è un’atmosfera minacciosa, che prende di mira soprattutto la Germania. Quasi 70 anni dopo la fine della guerra questo paese è di nuovo considerato una potenza nemica. Si sentono già  le voci che chiedono di prendere delle misure radicali nei confronti dell’ostilità  di Bruxelles e di Berlino.

Venti anni per ripartire

Ma chi può criticare delle persone ridotte alla miseria? Persone obbligate ad accettare questa situazione mentre il loro modesto modello di ricchezza va in pezzi e i loro politici diventano semplici esecutori di ordini? E tutto ciò per permettere alle banche e agli speculatori di ammortizzare completamente i loro crediti, che si erano affrettati a concedere a paesi deboli in cambio di alti tassi di interesse.

Non può essere questa l’Europa in cui vogliamo vivere. Un’Europa in cui le banche e i fondi speculativi decidono quale paese può sopravvivere. La politica di rigore imposta in modo unilaterale dalla finanza e da Angela Merkel ha un prezzo: la disintegrazione dell’Europa, e una lunga depressione che finirà  per arrivare anche in Germania.

La Grecia ha bisogno della nostra solidarietà , bisogna cancellare il suo debito e proporre un programma di sviluppo anziché un’infinita alternanza di fondi e rigore. Solo in questo modo il paese avrà  una possibilità  fra 10 o 20 anni di potersi di nuovo muovere sulle proprie gambe e ridiventare un membro a tutti gli effetti dell’Unione.

Un tale progetto di sviluppo europeo non costerebbe più caro, e permetterebbe inoltre di offrire nuove prospettive ai greci e agli europei. Ecco perché dobbiamo batterci contro l’esclusione del paese dalla zona euro. Abbiamo bisogno della Grecia per dimostrare che l’Europa è ancora capace di ricordarsi che cosa è.

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