Grecia ancora senza accordo sui tagli

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BRUXELLES — Cinque persone chiuse in una stanza a discutere, per cinque ore: alla fine uno dice «nessun accordo», e un altro «c’è un accordo sui punti base, ci rivediamo domani». Nella tragicommedia della crisi greca succede anche questo: i partiti della maggioranza che sorregge il governo hanno respinto in via di principio le richieste dei creditori-finanziatori internazionali che per concedere 130 miliardi di nuovi aiuti esigono nuove misure di austerità , tagli delle tredicesime e quattordicesime e riduzioni dei salari del settore privato. Nessuno ha il fegato, o la voglia, di convincere i propri elettori. Ma su alcuni punti sarebbe stato appunto raggiunto un «accordo di base» con lo stesso governo e perciò non vi è stata rottura, si riprende a discutere oggi: mentre riaprono le Borse d’Europa, e sul calendario manca un giorno in meno alla possibile bancarotta di Atene. 
La promessa-ultimatum del ministro dell’economia Evangelos Venizelos e anche della Ue — «chiuderemo entro domenica notte il negoziato sul debito» — non è stata rispettata: e se non è un totale nulla di fatto, pochissimo ci manca. Le trattative di ieri sono state «disumane», afferma una fonte del governo greco: sia quelle con i creditori istituzionali — la Banca centrale europea, il Fondo monetario internazionale, la Commissione europea — sia quelle con i leader dei partiti di maggioranza: George Papandreou per il partito socialista, Antonis Samaras per il centrodestra e George Karatzaferis per l’estrema destra di «Laos». Erano loro, quei leader chiusi in una stanza con Venizelos e il premier Lucas Papademos. A un certo punto, lo stesso Papademos ha telefonato anche al direttore generale dell’Fmi Christine Lagarde e al presidente della Bce Mario Draghi. La Bce ha in cassa circa 45 miliardi di titoli greci, e Atene le chiede di accollarsi una parte delle perdite: ma fino a oggi, senza successo. «Non contribuirò al rischio di una rivoluzione dei nuovi poveri che tormenterà  l’Europa», ha detto Karatzaferis. «Combatteremo le richieste di austerity con tutti i mezzi», ha rilanciato il conservatore Samaras. Ora il tempo si assottiglia. Al 13 febbraio è stato fissato l’ultimo termine tecnico per evitare la bancarotta, che scatterebbe il 20 marzo alla scadenza di 14,5 miliardi di titoli di Stato. Le richieste obiettivamente dure hanno provocato una valanga di «no». I sindacati di Atene parlano di «ricetta mortale» dell’austerità  perché propizierebbe sempre di più la recessione. A niente è servito il monito del presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, in un’intervista al giornale tedesco Der Spiegel: senza riforme non ci sarà  nessun nuovo programma di aiuti e la Grecia fallirà  in marzo. Anzi, «il pericolo di una bancarotta in marzo dovrebbe dare ai greci dei muscoli, mentre ora soffrono ancora dei sintomi di paralisi». E se davvero paralisi è, si è insinuata anche nelle pieghe della vita quotidiana: le associazioni dei calciatori di serie B e C hanno dichiarato lo sciopero immediato dopo aver scoperto che le loro casse sono vuote. Aspettano dei soldi dal governo: ma quello è precisamente uno dei tagli che allo stesso governo chiedono i creditori di mezzo mondo.
Luigi Offeddu


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