Gli schiavi dietro l’i-Pad. Apple cede e apre un’inchiesta

Loading


Oltre duecentocinquantamila firme e un’offensiva mediatica portata fin dentro gli store della Apple. Dopo l’inchiesta del New York Times sulle condizioni di lavoro degli operai cinesi che producono i-Pad e i-Phone, la Apple è stata costretta ad intervenire per ridurre il danno di immagine sui mercati occidentali e su quello americano in particolare, dove la notizia che le maestranze cinesi vivano in condizioni di semi-schiavitù è sembrata di una novità  dirompente. La società  di Cupertino ha perciò affidato alla Fair Labor Association l’incarico di verificare le condizioni di lavoro presso i propri fornitori ed assemblatori cinesi. A cominciare dalla controversa Foxconn, che nell’estate 2010 fece molto parlare di sé per un’ondata di suicidi tra i dipendenti, stremati da condizioni di lavoro e di vita vessatorie.
LA FABBRICA DEI SUICIDI
L’inchiesta del New York Times era partita da una conversazione tra Obama e Steve Jobs sulle ragioni della delocalizzazione in Cina, una scelta che il guru della Apple considerava irreversibile. Il reportage aveva svelato i retroscena della scelta: non tanto o non solo la necessità  di sostenere costi minori, quanto piuttosto la possibilità  di accedere a imprese e forza lavoro del tutto assoggettate alla produzione, con poco o nessun rispetto della vita dei singoli. Dormitori, mense, persino facilitatori del traffico dei pedoni: tutto alla Foxconn è pensato per non interrompere mai il flusso produttivo, mentre gli operai fanno turni massacranti e ricevono paghe da fame. Un prezzo troppo alto da pagare per un i-Pad, secondo i consumatori americani.
Nei giorni scorsi la protesta si è spostata da Washington a San Francisco, da New York fino a Londra e Sidney. Gruppi di consumatori hanno consegnato petizioni negli Apple store, chiedendo migliori condizioni di lavoro per gli operai cinesi. «Sono un fan dei prodotti Apple ma eticamente non posso sostenere oggetti che danneggiano le persone addette alla produzione», ha detto Shelby Knox, uno dei membri del sito di attivisti Change.org.
Il punto è che la Apple, come capofila dell’industria elettronica, può rappresentare la leva determinante per imporre un cambiamento suoi luoghi di lavoro, inducendo un effetto domino. Un portavoce della società  ha assicurato che «ci preoccupiamo per ogni singolo lavoratore e insistiamo sul fatto che i nostri fornitori devono offrire un ambiente sicuro trattando i dipendenti con dignità  e rispetto». Per evitare di trovarsi con le spalle al muro, come è avvenuto in passato a grandi marchi come la Nike, Gap e Disney, la Apple ha chiesto ad un organismo terzo di verificare. I risultati sono attesi nelle prossime settimane oltre alla Foxconn verrà  esaminata la fabbrica di Chengdu ma già  viene messa in discussione l’effettiva indipendenza della Fair Labor Association, basata a Washington.
Indipendente o meno, certo sarà  difficile per la Fair certificare condizioni di lavoro paragonabili a quelle degli operai Usa. Perché il nodo, alla fine, è proprio qua ed è lo stesso intorno al quale Obama ha ragionato con Jobs. Se l’obiettivo è riportare il lavoro in America, dovrà  diventare eticamente e commercialmente inaccettabile avere in Cina fabbriche di schiavi. La Apple orfana di Jobs rischia di trovarsi più esposta all’offensiva di concorrenti che possano vantare un maggior tasso di americanità .


Related Articles

Le banche sono salve ma per famiglie e imprese i prestiti restano difficili

Loading

La stretta c’è e rischia di peggiorare.  Si sono ancor più legate le sorti del credito privato a quelle della finanza pubblica. Gli aiuti da mille miliardi della Bce evitano il peggio, ma non sciolgono i nodi. I facili margini garantiti dai finanziamenti europei frenano le ristrutturazioni. Disfarsi della grande mole di titoli di Stato per gli istituti non sarà  compito facile

Dalle banche altri 150 milioni ma la salvezza del San Raffaele ora dipenderà  dal Tribunale

Loading

È implacabile l’analisi della Borghesi Colombo & Associati nelle 36 pagine del rapporto confidenziale presentato alle banche e ai fornitori del San Raffaele. Qui sono scritte le origini della crisi che hanno portato l’ospedale nell’inferno dei debiti.

Junc­ker: «Bisogna trovare un’alternativa alla troika

Loading

Juncker potrebbe accettare la fine della trojka. Varoufakis e Tsipras in viaggio, per trovare alleati in Europa. Italia e Francia corteggiate

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment