Giovani e lavoro, persi 80 mila posti
ROMA — Nei primi nove mesi del 2011 l’occupazione giovanile (18-29 anni) è scesa del 2,5%. Si sono cioè persi 80 mila posti di lavoro. In Europa solo la Spagna supera l’Italia per la disoccupazione tra i giovani. Dati allarmanti anche sul fronte “rosa”: nel nostro Paese lavora solo una donna su due, appena il 30% nel Sud. Questi numeri, illustrati ieri dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini in un’audizione parlamentare, danno ulteriori argomenti al governo per la riforma del mercato del lavoro, oltre alle sollecitazioni che continuano ad arrivare dall’Europa. Ieri è stata la Bce, nel bollettino mensile, a insistere sulla necessità , non solo per l’Italia, di «riforme ambiziose» con le quali «dovrebbero essere ridotte le rigidità del mercato del lavoro e dovrebbe essere accresciuta la flessibilità salariale». E sempre ieri il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, non ha lasciato dubbi sulle sue intenzioni: «I sindacati sanno che il governo ha una forte determinazione a fare una riforma incisiva e credibile per i mercati». Una riforma, ha aggiunto, che «stupirà i francesi».
Parole che preoccupano i sindacati, non a caso destinatari del messaggio del ministro, i quali temono un sostanziale smantellamento dell’articolo 18 che prevede il diritto di reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa. Tale diritto, nell’ipotesi più radicale, caldeggiata da Confindustria, resterebbe solo per i licenziamenti discriminatori, mentre in tutti gli altri casi il lavoratore avrebbe solo un indennizzo economico. Una soluzione che vede contrari tutti i sindacati. I quali stanno avanzando controproposte. Che non toccano l’articolo 18 quelle della Cgil, secondo la quale basterebbe intervenire sui «tempi, i modi e le procedure» dei processi sui licenziamenti. Arrivare a sentenze rapide è il minimo comun denominatore delle proposte sindacali.
La Cisl vi aggiunge altre idee: indennizzare i licenziamenti economici individuali, secondo quanto già previsto per i licenziamenti collettivi e, novità degli ultimi incontri con Fornero, introdurre l’arbitrato. Una volta licenziato il lavoratore potrebbe scegliere di far dirimere la controversia dall’arbitro, la cui decisione sarebbe inappellabile, anziché dal giudice. È vero che così facendo rinuncerebbe al diritto al reintegro. Ma visto che già oggi il lavoratore reintegrato opta quasi sempre per l’indennizzo di 15 mensilità (una possibilità , questa, prevista dallo stesso articolo 18), si potrebbe incentivare la via arbitrale fissando un risarcimento più alto e tempi brevi per la decisione, dice la Cisl.
La Uil, invece, propone di definire meglio che cosa rientra nella giusta causa, in modo da evitare sentenze clamorose, come quella recente di Torino, dove il giudice ha deciso di reintegrare un lavoratore licenziato dall’azienda perché si era dichiarato in malattia ma aveva partecipato a una manifestazione. L’Ugl è anche pronta a valutare una sospensione temporanea dell’articolo 18 per i precari che vengano assunti a tempo indeterminato. Per ora la Cgil, che è la meno disponibile a discutere di licenziamenti, non condivide le proposte degli altri sindacati, ma se ottenesse delle robuste contropartite sulla lotta alla precarietà e l’estensione degli ammortizzatori potrebbe aprire sull’arbitrato. Ma di questo si parlerà verso la fine della trattativa, cioè all’inizio di marzo. Lunedì, invece, nel nuovo incontro fra governo e parti sociali, si affronterà il capitolo degli ammortizzatori sociali.
L’idea di lasciare per ultimo il nodo dell’articolo 18 piace al segretario del Pd, Pier Lugi Bersani: «Il Pd chiede solo che si trovi un’intesa, che non ci siano conflitti in una fase di crisi». Sempre da sinistra, il presidente del gruppo L’Espresso, Carlo De Benedetti, dice che quello dell’articolo 18 è «un falso problema». Ma il Pdl spinge invece il governo a intervenire.
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