by Editore | 14 Febbraio 2012 10:29
I «forse convinti» sono «i mercati» e nella loro sede più che istituzionale di Wall Street. Dove SuperMario ha omaggiato offrendo i titoli di stato alle nuove condizioni dell’economia italiana che sarebbe sulla «via della salvezza» per la sua manovra.
Eppure la crisi finanziaria internazionale, ora precipitata nel baratro europeo con la Grecia che brucia, è nata nel 2008-2009 esattamente negli Stati uniti, a Wall Street, da lì è dilagata nel mondo intero, provocata – senza parlare del peso del debito pubblico americano – dalla bolla speculativa dei fondi subprime legati al mercato delle case e al processo di iperfinaziarizzazione dell’economia americana e internazionale. È proprio utile adesso regalare una rilegittimazione internazionale a Wall Street? Obama è diventato presidente anche per il crollo di questa crisi, l’ha ereditata da Bush che, come Berlusconi, la negava, e l’ha affrontata ma tutt’altro che risolta «nazionalizzando» con centinaia di miliardi di denaro pubblico nove mega-banche statunitensi in via di fallimento e la General Motors che da impresa di auto si era messa a vendere obbligazioni. Quel denaro pubblico, del 99% dei contribuenti, è ancora una volta finito nelle tasche dell’1% dei potentati economici, gli stessi che hanno provocato la crisi internazionale che si è poi riversata sull’Europa mettendo a repentaglio la credibilità dell’Euro. L’intervento centrale del presidente statunitense, elaborato dai suoi consiglieri che spesso altro non sono che gli stessi uomini che hanno costruito l’epoca della deregulation, è stato finora una sorta di keynesismo di forma – pubblico nelle fonti di spesa ma privato in quelle del guadagno finale – contro cui continua a tuonare il Nobel dell’economia Paul Krugman, grande sponsorizzatore di Obama e ora a dir poco disilluso, che denuncia come i profittatori e banchieri continuino a fare esattamente quello che facevano prima. Monti, impegnato nella sua campagna di legittimazione anche in Italia è stato ricevuto da Barack Obama impegnato a sua volta nella campagna per la rielezione, proprio mentre deve fare i conti ancora una volta con gli sponsor di Wall Street solo in parte preoccupati stavolta della sua retorica sull’equità fiscale piuttosto che del suo presunto «socialismo all’europea».
Ma Wall Street, nell’immaginario politico diffuso, resta il fortino assediato dalla protesta del mondo intero, e per questo si è levata l’iniziativa del movimento Occupy Wall Street, contro cui si sono scatenati l’isolamento mediatico e la repressione poliziesca con migliaia di arresti. Monti ha pensato bene di rompere simbolicamente e in concreto questo immaginario, di sfondare l’assedio per portare, dall’Europa, solidarietà di classe ai responsabili della crisi economica internazionale. Per questo è andato nella casa madre di tutte le crisi, nei palazzi di Wall Street. Ricevendo ampia e sorridente solidarietà da un Barack Obama che ha nascosto sotto il tappeto della Sala Ovale la verità che gli Stati uniti hanno provocato il disastro economico internazionale e che ora pensa bene di risolvere la crisi americana in chiave anti-Unione europea e anti-italiana, come dimostra l’appoggio politico ed economico all’operazione Marchionne-Chrysler. A cosa serve se non a questo il rinnovato – e quando mai dimenticato – asse atlantico, se non a scaricare i costi delle crisi economiche americane e di qualche nuova guerra che si annuncia, necessaria allo scopo?
Così Mario Monti con il suo passo felpato, con le sue poche ma sprezzanti e «monotone» prese di posizione sulla realtà sociale appare sempre più come il militante del nuovo movimento che avanza: «Disoccupy Wall Street».
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