by Editore | 24 Febbraio 2012 7:46
ROMA – Napolitano richiama il Parlamento: basta con gli emendamenti “fuorisacco”, che finiscono per stravolgere i decreti. Una lunga lettera di rilievi, che il capo dello Stato spedisce a Monti e ai presidenti delle Camere, e che Fini legge in aula subito dopo l’approvazione del Milleproroghe incassata dal governo grazie al voto di fiducia. Proprio il decreto è entrato nel mirino del capo dello Stato, che adesso è chiamato a firmare il testo, ma che avverte: c’è il rischio che la Corte costituzionale possa annullarlo, come ha già fatto qualche giorno fa con alcune norme della legge del 2010, giudicate appunto «estranee alle finalità del testo». Napolitano, nella sua lettera, ricorda di essere intervenuto già varie volte sul punto. Una lettera al governo Berlusconi, esattamente un anno fa, e una missiva analoga ancora prima a Prodi. Adesso anche a Monti. Come a dire che il Quirinale si muove con equilibrio e le polemiche sollevate da un’ala del centrodestra sul trattamento di favore concesso a Monti sono smentite dai fatti. Il capo dello Stato sottolinea dunque di aver sollecitato una «rigorosa delimitazione degli eventuali emendamenti, secondo un criterio di stretta attinenza alle finalità e al contenuto originario del decreto legge». Invece, è scattato il solito maxi-mercato delle modifiche. Mettendo alla fine in difficoltà il governo, che è ieri è anche finito sotto due volte a Montecitorio, sia pure su ordini del giorno: uno della Lega sul canone Rai (votato da tutti tranne il Pd) e uno del Pd sulle graduatorie degli insegnanti.
Il segnale politico della lettera di Napolitano sembra perciò andare in soccorso dell’azione del governo: il messaggio ai partiti è di non stravolgere i provvedimenti già concordati con Palazzo Chigi. E le preoccupazioni del capo dello Stato riguardano, indirettamente, anche il provvedimento-bandiera dell’esecutivo, che rischia di precipitare nella palude degli emendamenti. Sulle liberalizzazioni infatti sale pericolosamente lo scontro, dopo la brusca frenata in Senato su taxi e le farmacie. Monti avvisa: «Il governo sul decreto non fa marcia indietro. Non potremo accogliere tutte le modifiche, soprattutto se rappresentano un arretramento». Pd e Pdl trattano. Casini però minaccia di non votare il testo in aula se il testo sulle liberalizzazioni «viene modificato al ribasso». Un clima che preoccupa Napolitano. La carica degli emendamenti al Milleproroghe, spiega, avrebbe dovuto trovare «una corretta collocazione in un distinto apposito decreto legge». Da qui la dura lettera di richiamo, arrivata quasi a sorpresa e che ha spiazzato i partiti. Qualche malumore nel Pd, fra i deputati in Transatlantico il timore che l’altolà del capo dello Stato finisca per assumere il valore di un voto a scatola chiusa al governo. Da Di Pietro, stavolta, grande soddisfazione per l’intervento del capo dello Stato, «dopo le sue parole il Milleproroghe rischia di essere un decreto nullo, e il presidente potrebbe anche non firmarlo». Eventualità , per la verità , molto remota. Visto anche che lo stesso presidente della Repubblica nella sua lettera ricorda di non disporre del potere di un rinvio «parziale» della legge, solo sui punti ritenuti estranei al provvedimento. Può solo emanare il decreto o rimandarlo indietro. Sul tavolo del Colle l’esame non potrà che essere complessivo, «evitando una decadenza di tutte le disposizioni, comprese quelle condivisibili e urgenti, qualora la rilevanza e la portata di queste risultino prevalenti».
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