Dal sito di Gà¶bekli Tepe nuove ipotesi sulla preistoria

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La preistoria sembra esser diventata oggi un settore di studi fra i più promettenti, complici le ricerche sul patrimonio genetico e i progressi in campo archeologico. In Inghilterra spopola dal 2006 l’opera di Stephen Oppenheimer intitolata The Origins of the British (Robinson), nella quale si ripercorre la storia del popolamento delle isole britanniche dal 15.000 a.C. sino all’alto medioevo, utilizzando le ricerche genetiche, particolarmente avanzate presso l’Università  di Oxford, la linguistica, i dati archeologici a disposizione, le fonti scritte, in un intreccio di grande efficacia.
Le ricerche che hanno consentito a Oppenheimer la scrittura del suo long-seller appartengono al filone che da tempo ha rimesso in causa le origini del popolamento del continente europeo e della sua famiglia linguistica principale: l’indeuropeo. La vecchia teoria dei Kurgan, secondo la quale l’Europa neolitica sarebbe stata percorsa da invasioni provenienti dall’area russo-carpatica che vi avrebbero portato una élite di conquistatori guerrieri e una nuova lingua destinata a colonizzare il continente lasciandovi solo poche tracce del popolamento preesistente (i baschi sarebbero pressoché gli unici sopravvissuti fino ai nostri giorni), è oggi ampiamente criticata e in molti contesti ormai giudicata come superata. Numerosi archeologi, fra i quali si deve citare almeno l’inglese Colin Renfrew – sostenuti per esempio dalle ricerche in campo di genetica storica di Luigi Luca Cavalli Sforza – propendono per un arrivo dell’indeuropeo al seguito della rivoluzione neolitica del Vicino Oriente: gli agricoltori sarebbero lentamente migrati in varie direzioni, inclusa quella nord-occidentale, portando con sé una nuova lingua e una nuova cultura, insieme alle tecniche per coltivare la terra. 
Si tratta di ipotesi di lavoro, al più di teorie, che devono essere continuamente vagliate alla luce di scoperte, ma anche di riconsiderazioni dei dati esistenti. Non c’è però dubbio che al Vicino Oriente e in particolar modo all’area della Mezzaluna fertile ci si debba volgere quando si voglia spostare ancora più indietro questo viaggio nel tempo. Perché, se è vero che la rivoluzione neolitica ha cambiato radicalmente i modi di vita di larga parte dell’umanità , non è certo chiaro e conclamato in che modo e per quali ragioni tale rivoluzione sia avvenuta.
Le ricerche archeologiche in Anatolia meridionale hanno dato negli anni risultati illustri, a cominciare dagli scavi (ancora oggi discussi per quanto concerne l’interpretazione complessiva di tale scoperta) della celebre «città » neolitica di à‡atal Hà¼yà¼k. Più di recente, nel 1994, l’archeologo Klaus Schmidt, a capo di una missione turco-tedesca, ha avviato una campagna di scavi in un’area non distante, presso il sito noto come Gà¶bekli Tepe. I primi risultati di queste ricerche sono apparsi negli anni successivi in diverse riviste specializzate, fino ad arrivare nel 2007 a una monografia rivolta a far conoscere l’importanza della scoperta a un pubblico più ampio. Il testo ha oggi trovato una traduzione italiana arricchita da aggiornamenti che arrivano fino al 2009 (Klaus Schmidt, Costruirono i primi templi 7000 anni prima delle piramidi. La scoperta archeologica di Gà¶bekli Tepe, Oltre Edizioni 2011, euro 24,50, 272 pp. + XV pp. con fotografie a colori).
Perché questo sito è importante? Le ragioni sono semplici: con i suoi oltre undicimila anni di anzianità , Gà¶bekli Tepe si propone come il più antico centro cultuale conosciuto; si tratta di un complesso monumentale, ricco di decine di pilastri di pietra accuratamente levigati e scolpiti con bassorilievi raffiguranti soprattutto animali. L’edificazione del sito dovette per forza richiedere il concorso di mano d’opera numerosa e abile; e questo in un’epoca nella quale la rivoluzione neolitica era ancora di là  da venire, e i gruppi di cacciatori-raccoglitori non potevano servirsi né di bestie da soma, né di utensili di metallo, né della ruota. 
Non si tratta qui di stupirsi dinanzi alla difficoltà  dell’opera né di evocare, al solito, fumosi misteri. Il punto è che Gà¶bekli Tepe potrebbe suggerire nuove risposte alla domanda alla quale accennavamo in precedenza: perché le società  di cacciatori-raccoglitori sono passate all’agricoltura? In passato, una delle risposte più frequenti a tale domanda chiamava in causa il singolo evento, la scoperta della possibilità  delle coltivazioni, che avrebbe contagiato poi il circondario conquistando la maggioranza dei rappresentanti della specie umana. Un’ipotesi abbandonata per il prevalere dell’idea che la rivoluzione neolitica sia invece scaturita gradualmente, in concomitanza con l’attenuarsi dell’ultima glaciazione, intorno all’8500 a.C., che avrebbe reso possibili l’agricoltura e l’allevamento. Possibili, certo, ma in fondo non necessari.
Un centro di culto come Gà¶bekli Tepe ebbe bisogno, si è detto, di manodopera in grado di dedicarsi a lungo e forse unicamente alla sua edificazione; questo farebbe pensare a una differenziazione sociale che contrasta con l’idea comune di cacciatori-raccoglitori troppo «primitivi» per conoscere una distinzione del genere. Inoltre, il sito doveva servire come centro che richiamava, in una sorta di pellegrinaggio, da aree anche molto distanti; altrimenti sarebbe difficile spiegarne la monumentalità .
Nelle ultime pagine del libro Klaus Schmidt evoca la possibilità  che Gà¶bekli Tepe abbia rappresentato qualcosa di simile alle anfizionìe greche: «L’elemento di base di una anfizionìa è sempre un tempio centrale. L’anfizionìa è sempre in primo luogo un’organizzazione di culto, ma essa nel suo prendersi cura del santuario e di ciò che lo circonda, assolve spesso anche compiti di tipo militare e sociale». In effetti, nelle aree circostanti sono stati rinvenuti altri siti che presentano affinità  con Gà¶bekli Tepe, ma che certamente furono costruiti in una scala molta ridotta rispetto a questo. 
La collina di Gà¶bekli Tepe fu abbandonato agli inizi dell’ottavo millennio a.C., ossia in concomitanza con l’organizzazione, più a valle, delle prime comunità  di coltivatori. Un evento traumatico, dunque? Schmidt propende per l’ipotesi opposta: il centro di culto poté consentire la formazione di una élite legata al suo controllo, che avrebbe preparato, proprio in virtù della prima divisione del lavoro necessaria per concepire la costruzione di un luogo del genere, tale passaggio. È una ipotesi coraggiosa e da comprovare, ammesso che questo sarà  mai del tutto possibile, ma che ha il merito di rilanciare il dibattito sulle origini del neolitico alla luce di idee e dati inediti.


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