Dagli idraulici ai chirurghi ecco i mestieri a rischio cocaina “La usa un lavoratore su cinque”

by Editore | 24 Febbraio 2012 9:41

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Michele viaggia tutta la settimana col Tir dalla Brianza a Monaco di Baviera. Luca è chef e prepara catering per 200 persone nelle ville venete. Giuseppe, muratore cottimista, costruisce case. Il problema è che tira su molto altro. Come Gaetano, infermiere strumentista in un ospedale di Milano: lui sniffa prima di entrare in sala operatoria. D’altronde lo fa anche il neurochirurgo per prepararsi a un intervento di precisione al talamo. E anche Vittorio e Enzo, 73 anni in due, autisti di autobus per un’azienda con appalti nel pubblico. E poi Raffaella – non è il suo vero nome – , 42 anni, magistrato penalista, dopo 15 anni è ancora in balia dei demoni. 
Sono macchine fatte di carne e vanno a cocaina. Si dopano per aumentare le prestazioni, per vincere lo stress e reggere i ritmi. La prendono a casa prima di uscire la mattina. O sul lavoro. Magari in pausa. In cantiere. Negli spogliatoi del deposito dei tram, dell’ospedale, nella cucina del ristorante. Sulla cabina del camion. Nei bagni del Parlamento (ricordate l’inchiesta delle Iene? Un parlamentare su tre positivo ai test anti droga) e del tribunale. In taxi. Prima di mettersi alla cloche dell’aereo. Con la polvere bianca riescono a lavorare anche 15 ore senza staccare: se non per uno, o più, “richiamini”. C’è chi il “doping” è convinto di dominarlo, e se ne serve a piene narici. Ma poi diventa una scimmia, e ti schiaccia. È così che la droga invade il mondo del lavoro. Una categoria dopo l’altra. Chi sono i nuovi schiavi della sniffata-professionale? Quanto è diffusa? 
EFFETTO PERFORMANCE
«All’uso tradizionale della coca – quello evasivo-sociale – si è affiancato, stabilmente, quello della sostanza assunta come stimolante lavorativo». Vittorio Tanzi è responsabile qualità  del Crest (Centro per i disturbi della personalità  e tossicomania), sede e ambulatorio a Milano, due comunità  in provincia di Varese. Tra i pazienti ci sono imprenditori, manager, magistrati, piloti, operai, avvocati, artigiani, autisti, poliziotti. «Più è stressante il tipo di mestiere – in alcuni casi subentra anche il fattore frustrazione – e più è frequente il ricorso alla cocaina. Oltre a essere un eccitante è anche un contenitore dello stress e un abbattitore della fatica». Molto caro. Perché il tempo di effetto è rapido: un’ora, contro le sei dell’eroina. «Se sniffi per aumentare le prestazioni devi farlo di continuo – aggiunge Tanzi -. Il che comporta costi notevoli. Dopo un po’ la quantità  che prima ti bastava, non ti basta più. Tutto questo fa sì che l’uso “performante” della sostanza non possa protrarsi per periodi molto lunghi».
I mestieri della coca hanno una storia millenaria. Che risale fino agli Inca. Nell’800 in Sudamerica i contadini masticavano foglie di cocaina per resistere alla fatica nei campi. Per una buona resa lavorativa le foglie venivano distribuite quattro volte al giorno. Tra Colombia, Perù e Bolivia – dove si producono tre quarti della cocaina del mondo – l’abitudine è intatta, benché un conto sia masticare la foglia, e un altro tirare la coca in polvere, ottenuta tramite procedimenti chimici. Tutt’altra storia è la «bamba». La chiamano così a Milano-coca-city (il capoluogo lombardo coi suoi 125mila consumatori è la capitale italiana e europea dell’assunzione di cocaina; tre volte la media nazionale). Nella sua nuova declinazione la «bamba» ha un perso la tradizionale identità . Non più (soltanto) stupefacente «voluttuario», da evasione. Piuttosto, una specie di stampella per sostenersi nel mestiere, ammortizzare lo stress, essere competitivi.

POST YUPPISMO
Come agisce la psiche di chi sniffa per lavorare? «Il periodo della coca intesa come sostanza di moda sta finendo – ragiona Riccardo Gatti, capo dell’Asl 1 di Milano, esperto di tossicodipendenze -. La sovraesposizione iniziata con lo yuppismo e il post yuppismo ha lasciato il posto anche a usi “altri”. Utilizzi comuni, come quelli del doping sul lavoro. Nessuna categoria esclusa». Il cuoco che a forza di tirare non ricorda più gli ordini. La baby sitter che crede di essere più attenta. Il pilota che si spara l’eroina per spegnere la fiamma della coca. Il camionista che per stare sveglio alterna le strisce bianche con le anfetamine. «Da una parte – continua Gatti – c’è la convinzione di potere resistere a una fatica oggettiva, o percepita come tale. Dall’altra, partendo da un’insicurezza, ci si illude di riuscire ad ottenere da se stessi più di quello che si è». 
Dimenticate l’immagine cinematografica del broker di Borsa che, come il “lupo di Wall Street”, diventa un aspirapolvere per riuscire a seguire h24 l’andamento dei mercati. Appare stantia anche l’idea che la coca imbianchi solo un pantheon di professioni “elette” (finanza, moda, arte, spettacolo). Dice Roberto Bertolli, direttore della casa di cura “Le Betulle” di Appiano Gentile (autore con Furio Ravera di “Un fiume di coca”): «C’è un allargamento a tutte le categorie. Dopo i camionisti e i cottimisti, l’ultima novità  sono gli artigiani. Idraulici, elettricisti, imbianchini. Gente che non ha particolari problemi ma crede di rendere di più prendendo la sostanza. La coca promette molto, ti offre chiavi di accesso ma poi, al massimo dopo un anno, ti presenta il conto».

TRAPPOLA TRASVERSALE
Dall’autista al medico, dal pilota al giornalista, dal carpentiere al tecnico di laboratorio, i dopati della cocaina stanno sul bordo delle statistiche ufficiali. In Italia sono censiti 2 milioni di cocainomani abituali, 700mila saltuari, il 20% della popolazione l’ha provata tra i 15 e i 23 anni e il 5% dei minorenni la usa frequentemente. Ma loro, i cocainomani da lavoro, nei numeri entrano malvolentieri. Si nascondono, la «dichiarazione di consumo» è ultima spiaggia. Ma tra i medici del lavoro c’è chi ritiene che il rapporto di un lavoratore ogni cinque – nelle categorie più esposte – sia tutt’altro che imprudente. Esempi? I muratori a cottimo nel triangolo dell’edilizia (Milano, Bergamo, Brescia), un distretto nel quale, secondo le stime, il consumo di sostanze è cresciuto, negli ultimi dieci anni, di quasi il 50%. Da Nord a Sud: a Lanciano, la metà  degli utenti del Sert è costituita da operai della vicina Fiat-Sevel. 
Racconta Fabio Rancati, amministratore delegato di Crest: «Mi chiama un grosso imprenditore. La normativa lo obbliga a sottoporre al test delle urine anche i mulettisti e non sa come comportarsi. Gli dico: lo devi fare. Fa fare i test, quattro operai risultano positivi alla coca. In base alla legge avrebbe dovuto segnalarli e farli curare. E invece… C’è molta sottovalutazione del rischio di danni che un lavoratore che si droga può procurare agli altri e alla stessa azienda. Io il test lo estenderei a tutte e le categorie».

L’IDENTIKIT DEL 2012
Maschio. Età  media tra i 35 e i 50 anni. Socialmente e economicamente trasversale. L’identikit del tossico che si fa per lavorare abbraccia tipologie e storie pazzesche. A volte la coca è solo un motore. Altre volte, un cemento che salda insicurezze e patologie. Gli abissi di Vincenzo, il ginecologo di Napoli che in nove mesi ha pagato il suo pusher mille volte, sono finiti sui giornali. Se non aveva la striscia da stendere sotto il naso, di operare non se ne parlava nemmeno. «Ehi, è passata più di mezz’ora… come te lo devo spiegare, io non posso stare fermo», protestava al telefono con lo spacciatore. Giulio, avvocato di successo, esercita a Milano. La cocaina per lui non è solo un eccitante per l’arringa: è la molla che gli permette di masturbarsi facendo fantasie erotiche sulla figlia tredicenne. E Corrado? Un tempo era poliziotto: alto, palestrato, pieno di tatuaggi, aggressivo. Si è fatto il G8 e qualche anno di ordine pubblico. Quella che all’inizio sembrava una compagna di lavoro gestibile, è diventata un drago. Arrestato per spaccio, dopo un passaggio nel carcere di San Vittore, si è curato. Oggi è operaio in un’azienda metalmeccanica.
Medio e lungo raggio. Erano le tratte aeree di uno dei piloti entrati nei percorsi di disintossicazione. «Per lui tirare la cocaina era come bere un bianchino la mattina – ricorda Tanzi del Crest – . Si sentiva più sicuro, ma una volta atterrato per conciliarsi con il fuso orario fumava eroina. Un mix devastante, alla fine ha dovuto smettere di volare».

UN GRAMMO 70 EURO
Quanto costa il doping della polvere bianca? Settanta-cento euro al grammo. È il prezzo della cocaina. Una media che tiene dentro il costo di una “pallina” acquistata a Scampia e di una venduta a Roma a Milano o a Verona. Ma oggi la droga più diffusa sul mercato non si vende più solo al grammo. Ci sono le mini dosi (dal mezzo grammo in giù). I pusher te le offrono a 15, 20 o 30 euro. Dipende dalle città , dalle zone, e anche dalle fasce orarie (più la notte si avvicina all’alba e più la coca è in saldo). Pasquale fa il muratore cottimista a Brescia. La coca gli porta via quasi la metà  dei soldi: 1200 euro è il budget mensile (su uno stipendio di 2.600) destinato alle righe. «Ma la compro buona, non le schifezze che girano adesso, piene di anfetamina». Facendo una media di 70-100 euro a grammo, Pasquale sniffa tra i 15 e i 20 grammi al mese. «Un uso tutto sommato moderato – spiega un esperto – , in generale, chi finisce in questo vortice ha bisogno di più di un grammo al giorno». Un professionista «policonsumatore» può viaggiare a una media di 2.500 euro. Per abbattere i costi della spesa molti optano per la cocaina da fumare. Meno cara. O il crac, che si inala. «Stanno andando forte anche le anfetamine – aggiunge Roberto Bertolli – . Le usano soprattutto i camionisti. Costano molto meno della cocaina e hanno lo stesso effetto: ti tengono sveglio e fanno passare la fame». Quando Michele da Monza parte con il Tir per Monaco di Baviera si porta dietro una dozzina di grammi. Gli bastano per una settimana. È autotrasportatore in proprio. Gli basta mezz’ora di sosta da sbriciolare tra andata e ritorno: il resto del tempo sta al volante. Dorme ogni ventiquattro ore. Come lui fanno tanti. Camionisti, padroncini, autisti di autobus turistici, tram, mezzi pubblici. «Il problema sono soprattutto i lavoratori autonomi – spiega Giovanni Serpelloni, direttore del Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del consiglio dei ministri -. Intercettarli per i controlli è più difficile. Stiamo cercando di introdurre l’obbligo da parte delle aziende che commissionano il lavoro di richiedere una certificazione di idoneità  alla guida». 
Adam Pelizzari oggi è un uomo libero (il gip ha revocato gli arresti domiciliari). Il 5 luglio scorso, alla guida di un camion carico di maiali, ha travolto a Mantova il Suv di Ornella Galfredi, 45 anni, uccidendo lei e la figlia, Benedetta Sinico, 9 anni. Accusato di duplice omicidio colposo, è risultato positivo alla cocaina.

TEST OBBLIGATORI
Per quali categorie sono obbligatori i test? Funzionano? La normativa che impone i controlli nelle categorie professionali più a rischio (accordo Stato-Regioni) è entrata in vigore un anno fa. Come al solito, a macchia di leopardo. Se quasi tutte le Regioni del Nord l’hanno adottata, al Centro e al Sud le percentuali sono molto meno brillanti: rispettivamente, 60 e 30 per cento. In teoria, autisti, camionisti, addetti ai trasporti interni alle aziende (mulettisti), conducenti di treni, piloti, dovrebbero essere sottoposti regolarmente a controlli da parte delle aziende. «Finora, però, i risultati sono stati poco incoraggianti – dice Piero Apostoli, presidente della Società  italiana medicina del lavoro – . In caso di positività  (primo livello) le aziende sono obbligate a segnalare il lavoratore al Sert sottoponendolo a cure (secondo livello). Ma siccome per tutta la durata del trattamento hanno anche l’obbligo di tenersi in carico il dipendente, finisce che molte imprese non hanno un grande interesse a stanare chi assume sostanze». La stessa normativa presenta poi delle lacune. Il settore della sanità , per esempio: mansioni a rischio, ma ancora nessun obbligo di controlli. I medici e gli infermieri che sniffano, insomma, possono continuare a farla franca. A nostro rischio e pericolo.

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