Da Caruso al Vate in mostra le ultime volontà  dei grandi

Loading

Giuseppe Verdi scelse il silenzio. Non quando ormai prossimo alla morte riposava in una camera d’albergo di Milano e i rumori, lo scalpitio dei cavalli e il cigolio delle carrozze, gli arrivavano attutiti dalla paglia gettata in strada per proteggerlo. Ma il 14 maggio 1900, quando nel suo testamento con mano ferma ordinò: «Che i miei funerali siano modestissimi e siano fatti allo spuntar del giorno o all’Ave Maria di sera senza canti e suoni». Non fu l’unico, tra gli italiani illustri, a scegliere un commiato sobrio. Altri come Luigi Pirandello dissero addio al mondo in solitudine o chiesero, come il primo presidente della Repubblica Enrico De Nicola, di non essere commemorati «in nessun tempo, in nessun luogo, per nessuna ragione, in nessuna occasione».
Le ultime volontà  di venticinque uomini e donne celebri – da Grazia Deledda a Guglielmo Marconi, da Cavour a Papa Giovanni XXIII – sono state raccolte dal Consiglio nazionale e Fondazione italiana del Notariato, in collaborazione con la presidenza del Consiglio dei Ministri e l’assessorato alle politiche culturali e centro storico di Roma Capitale, nella mostra: “Testamenti di grandi italiani”. Da giovedì al 17 marzo l’Archivio storico capitolino esporrà  i lasciti, scritti a mano e originali, che svelano eredità  affettive e spirituali oltre che economiche. 
Nei documenti si rintraccia spesso la volontà  di un commiato sobrio. È il caso di Luigi Pirandello che chiese di essere trasportato con un «carro d’infima classe, quello dei poveri» senza che «né parenti né amici» lo seguissero: «Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, sia lasciato disperdere, perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me». Come Lina Cavalieri, “la donna più bella del mondo”, che dopo quattro matrimoni e una vita sotto i riflettori, volle un funerale improntato «a quella sincerità  che esula sempre dalle cerimonie fastose». 
L’eccezione più vistosa, ma è difficile stupirsi, è quella che Gabriele D’Annunzio affidò alla carta per assicurarsi che i suoi scritti venissero custoditi nel Vittoriale degli italiani, chiamando in causa anche il suo “fratello d’Armi” Benito Mussolini. In altri documenti, quello che emoziona, è la calligrafia, resa incerta dalla mano tremante per paura del futuro o per l’avanzare della malattia. Come accade nel codicillo testamentario che Giuseppe Garibaldi firmò il giorno prima di morire e oggi visibile grazie al restauro del faldone in cui era contenuto. Quando l’eroe dei due mondi prese la penna in mano per l’ultima volta chiese al figlio Menotti di occuparsi dei fratelli più piccoli. Una preoccupazione che accomuna anche altri italiani illustri. Giovanni Agnelli senior raccomandava ai suoi eredi «di rimanere uniti negli affetti e negli intendimenti e di ricordare che il maggior conforto e la maggiore forza morale nella vita sono l’amore di patria, la coesione famigliare, la rettitudine e il rispetto dal lavoro umano». Un testamento spirituale che, come altri in mostra, non sempre è stato rispettato. Le ceneri di Pirandello non furono disperse, a De Nicola vennero dedicate strade, piazze e istituzioni. Verdi, lui sì, trovò il silenzio che desiderava: centomila persone seguirono il suo feretro senza pronunciare parola.


Related Articles

La prima Tamaro, il romanzo rifiutato

Loading

Una storia di formazione scritta a 23 anni perlustra i territori dell’inquietudine

Economia della promessa: un libro contro il lavoro gratis

Loading

Il manifesto. Economia politica della promessa. Un libro contro il lavoro gratis. Sarà distribuito in edicola con il Manifesto il 30 aprile, diffuso alle manifestazioni No Expo a Milano, e in libreria

Quel che resta di Karen

Loading

La sua Africa non abita più qui

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment