COSàŒ SALVAMMO QUEI BAMBINI
«Ma Cassino non esiste più…», ci raccontava Pina Savalli, la nostra amica che da qualche settimana si era trasferita lì per organizzare il trasferimento dei bambini, i più affamati, i più ammalati verso le ospitali case dei contadini emiliani. Pina Savalli era un bravo medico ma noi pensavamo che esagerasse. Invece aveva ragione: Cassino non esisteva più. Cancellata prima dai bombardamenti per lo sfondamento della Linea Gustav, e poi dall’avanzata delle truppe alleate verso Roma, Cassino si presentava ormai, nell’inverno tra il 1945 e il 1946, come un campo di battaglia, abbandonato, coperto da una palude di melma e di fango, interrotto dai lugubri cartelli “go slowly; death is so permanent”.
E i bambini, che avevano avuto la sventura di nascere a Cassino e nei paesi vicini, figli di poveri contadini, vivevano, o meglio sopravvivevano, prime vittime della guerra, nelle grotte, nelle case semidistrutte, nelle baracche, esposti da mesi al freddo alle malattie alla fame. Fu il Congresso comunista del dicembre del 1945, a lanciare, da Roma, un appello per la salvezza dei bambini di Roma e del Sud. E immediatamente giunsero le offerte delle famiglie emiliane disposte ad ospitare, per il tempo necessario, i piccoli meridionali affamati e malati.
Ho partecipato, allora, alla organizzazione della partenza dei bambini romani per le accoglienti famiglie di Modena e Reggio Emilia. A Roma, a poco più di un anno dalla liberazione, si pativa ancora il freddo e la fame. Nelle case di Primavalle, del Quadraro, del Quarticciolo si viveva di miseria e di espedienti. E noi andavamo di casa in casa a chiedere chi voleva affidarci un bambino per mandarlo a vivere, per qualche tempo, presso una famiglia emiliana che lo avrebbe nutrito, rivestito, mandato a scuola, se necessario curato. Mi chiedo ancora, a distanza di tanti anni, come ci riuscimmo. La fame doveva essere tanta, e tanta la fiducia in noi se ci riuscimmo. E a metà gennaio, da Termini partì il nostro primo treno speciale per Modena carico di scalpitanti irrequieti bambini romani.
Poi fu la volta di Cassino, la zona che è rimasta giustamente simbolo della massima distruzione ed emergenza. Cassino non esisteva più, e i paesi intorno erano ridotti a macerie. Ma tra quelle macerie, in quei tuguri vivevano ancora i superstiti di quella tragedia, donne, uomini e bambini. Li andarono a cercare Pina Savalli, e altre nostre amiche, tra cui la professoressa Linda Puccini e l’efficientissima Maria Maddalena Rossi, che ritroveremo poi deputato alla Costituente. Ci vollero quasi due mesi di lavoro a Frosinone per vincere i sospetti («ma dove li portate?», «quando torneranno?») e organizzare, superata l’emergenza, le prime partenze. Ma finalmente, i primi treni di bambini ospiti delle generose famiglie emiliane partirono anche da lì. E Pina Savalli, la nostra amica medico che era stata tra le organizzatrici di quel trasferimento, ci raccontava, anche anni dopo, quella vicenda con la stessa passione ed emozione. «Se quei bambini fossero rimasti lì» – diceva – «in quelle baracche o in quelle caverne in cui li avevamo trovati sarebbero certamente morti o, se sopravvissuti sarebbero rimasti gravemente menomati, malaticci, disadattati, esposti a tutte le malattie…». E invece no. L’emergenza era stata superata, e quei bambini si erano salvati.
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