Commozione e soddisfazione dopo trent’anni di lotta, «ma c’è ancora tanto lavoro da fare»

by Editore | 14 Febbraio 2012 11:01

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Nella voce di Bruno Pesce si scioglie l’ansia di una lotta durata trent’anni. Era segretario della Camera del lavoro di Casale Monferrato quando ha iniziato a battersi per la giustizia dei lavoratori e delle popolazioni colpite dall’inquinamento dell’amianto. Adesso è Il coordinatore dell’associazione delle vittime (Afeva). Ha ascoltato in silenzio la sentenza del tribunale di Torino insieme a centinaia di persone venute dalla sua Casale Monferrato e da mezzo mondo. 
«Ho provato una grande emozione. Tanti hanno trattenuto le lacrime a stento. Quando il giudice ha parlato di colpa abbiamo capito subito: ‘questa volta ci siamo’. In quei sedici anni di condanna c’è tutto: il riconoscimento di un enorme disastro, il dolo, il fatto che come abbiamo sempre sostenuto gli imprenditori sapevano benissimo quali erano gli effetti dell’amianto eppure hanno continuato a produrre Eternit come se niente fosse. Ma soprattutto in questa sentenza c’è tutta la nostra gente, la storia e la vita di un’intera comunità ». 
Il pensiero va a tutti quelli che non ci sono più, a tutti quelli che hanno lottato ma che non hanno potuto vedere questa giornata storica perché il mesotelioma gli ha stroncati prima. E’ un’emozione forte, un misto di soddisfazione e di dolore per chi non c’è più. «Come tutti ho guardato subito la Romana (Romana Blasotti Pavesi, la presidentessa dell’associazione delle vittime che a più di 80 anni non ha mai smesso di lottare per avere giustizia, ndr), ho pensato alle famiglie delle vittime. Ho negli occhi il volto di un ex operaio – racconta Pesce – il suo nome è Paolo Bernardi. Quando si era reso conto che l’amianto lo stava uccidendo era andato dal direttore della fabbrica per chiedergli di cambiargli mansione. Gli aveva detto che voleva vedere crescere i suoi tre bambini. Gli avevano risposto: ‘sai dov’è la porta’. Le prima cause le abbiamo studiate insieme, poi un mesotelioma all’intestino lo ha ucciso. Avrei tanto voluto che oggi fosse qui».
Pesce però sa bene che questa non è solo la lotta di Casale e dei lavoratori italiani. Questa sentenza costituisce un precedente importante per tutti coloro che nel mondo hanno sofferto e continuano a soffirire per l’amianto. «Nel 70% dei paesi del mondo la lavorazione non è stata fermata», ricorda Pesce. Ma soprattuto si tratta di un giudizio che ristabilisce un diritto che dovrebbe essere universale. «Il tribunale ha sancito che imprese, anche miliardarie, non possono guadagnare sulla pelle delle persone. Il profitto non può venire al primo posto – spiega Pesce – Si tratta di un principio fondamentale, anche se è molto in disuso di questi tempi. Soprattutto in questo momento di crisi dove si parla tanto di sviluppo e il dato finanziario sembra prevalere su tutto, non solo sulla salute di chi lavora, ma anche sulla vita delle popolazioni e sull’ambiente». 
E adesso che succederà ? Pesce sa che il lavoro da fare è tutt’altro che finito. «Questa sentenza è un grande punto di arrivo, noi ci abbiamo sempre creduto ma non speravamo di arrivarci. Ma è anche un formidabile punto per ripartire. Per i più deboli non è mai facile far valere i propri diritti. E’ uno sforzo infinito. Dovremo leggere bene le motivazioni della sentenza, fare in modo che venga applicata fino in fondo e dovremo far partire migliaia di cause civili per ottenere tutti i risarcimenti. Ringraziamo la magistratura torinese e speriamo nella collaborazione delle istituzioni. In questo senso le parole del ministro della salute Renato Balduzzi sono importanti».
E a proposito di istituzioni Pesce lancia un messaggio a Giorgio Demezzi, il sindaco di centrodestra di Casale Monferrato che alla vigilia della sentenza stava per accettare un tardivo risarcimento da parte degli industriali dell’amianto. «Intanto si parlava di 18 milioni di euro e invece adesso il tribunale ha stabilito per Casale un risarcimento di 25 milioni di euro. Ma non si tratta solo di una questione di soldi. Si tratta di avere giustizia e di non farsi comprare da un imprenditore svizzero in cerca di attenuanti. E noi oggi abbiamo avuto giustizia».

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