Cinque tavoli aperti Ma l’art. 18 «subordina»

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Ammortizzatori sociali
È l’unico punto dove già  ieri sono state registrate «convergenze» importanti, fino a configurare quasi un «già  convenuto». Il governo aveva intenzione di procedere con una drastica revisione dell’intero sistema (Cassa integrazione, ordinaria, straordinaria, in deroga e mobilità ), secondo uno schema semplificato. a) solo «cassa ordinaria» per le «crisi temporanee»; b) «indennità  risarcitorie» per chi perde il lavoro. Di fatto si sarebbe trattato di una cancellazione degli ammortizzatori sociali, perché le «crisi temporanee» possono essere coperte solo per 12 mesi, e non per tutte le aziende. Quanto alle «indennità », lo stesso governo ammette di non avere risorse per finanziarle davvero. Dunque, non ci sarebbe rimasto nulla in piedi. Anche Confindustria ha avuto da ridire, chiedendo di lasciare le cose come stanno almeno per i prossimi due anni, che si prevedono di recessione anche più seria dell’attuale. Pare che per almeno 18 mesi (fin dopo le elezioni, dunque) non ci saranno cambiamenti.
Apprendistato
Sulla «flessibilità  in ingresso» il governo sembra aver rinunciato al «contratto unico di ingresso», peraltro molto simile nella sostanza. L’apprendistato varrebbe per i giovani fino a 29 anni o per le assunzioni di lavoratori in stato di mobilità . Sarebbe un contratto a «tempo indeterminato» da riconfermare dopo i primi tre anni, entro i quali i neo assunti non godono delle tutele dell’art. 18. Anche le retribuzioni sono molto più contenute (due livelli di inquadramento in meno rispetto al contratto normale). Per le aziende c’è uno sconto contributivo sostanzioso (dal 25 al 5%, o addirittura niente in caso di imprese fino a 9 dipendenti). 
Contratti atipici
Oggi esistono oltre 40 forme diverse per essere «assunti» in modo precario. Le stesse imprese vanno in difficoltà  nel padroneggiarle tutte (e in genere ne usano soltanto un paio a testa, anche per non complicare il lavoro degli uffici di amministrazione). Secondo la «bozza Boeri» verrebbero quasi tutte sostituite da una sorta di «apprendistato», con altri tre anni senza articolo 18. La «bozza Ichino», invece, prevede la licenziabilità  sempre in cambio di un «indennizzo» e un co-finanziamento, da parte dell’impresa e della Regione, di un «percorso di ricollocazione» dagli effetti pratici – per esperienza reale – abbastanza incerti.
Articolo 18
Sulla «flessibilità  in uscita», ovviamente, le distanze dichiarate sono molto più ampie. Anzi, e «il» problema di questo confronto. Tutte le modifiche apportate agli istituti precedenti cambiano completamente di segno a seconda che resti o no la normativa com’è ora. Ovvero con la possibilità  per il dipendente di ricorrere al magistrato per ottenere – se ha ragione – la «reintegra» sul posto di lavoro. La «robusta manutenzione» accettata da Cisl e Uil, per esempio, ne restringono il campo di applicazione soltanto ai «licenziamenti chiaramente discriminatori», ammettendo invece quelli per «motivi economici». Ma questi ultimi sono già  oggi largamente praticati: l’unico limite, infatti, è la dichiarazione di uno «stato di crisi» da parte dell’impresa, che viene poi riconosciuto e certificato (oppure no) dal ministero dello sviluppo produttivo e da quello del lavoro, che deve poi erogare gli ammortizzatori sociali. Per la Cgil, invece, fin qui si può discutere soltanto su come garantire «tempi più rapidi» per lo svolgimento delle cause di lavoro in caso di licenziamento individuale.


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