Chi controlla il capitalismo

by Sergio Segio | 21 Febbraio 2012 14:42

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Va di moda il governo dei tecnici che non risponde agli elettori ma presume di sapere cosa è bene per loro. La crisi del capitalismo si scarica sulla democrazia. La delegittimazione della politica, se non trova alternative positive, può aprire scenari preoccupanti. Per questo occorre ricostruire le ragioni della sinistra partendo dalla crisi.
Viene sottovalutata la dimensione dei problemi finanziari. La crisi del 1929 aveva una dimensione finanziaria incomparabilmente inferiore. La massa di capitali che si muovono oggi è tale che, senza argine, può travolgere Stati e forse continenti. Il rapporto tra la massa dei prodotti finanziari e il Pil mondiale è almeno 10 a 1. A questo si è arrivati anche perché alcune delle regole auree adottate dopo la crisi del 1929 sono state abbandonate e per di più la Sec ha concesso ai derivati piena libertà . Le banche, che oggi possono fare tutto, raccolgono il denaro dei cittadini per finanziare le speculazioni. Se va male lo Stato deve intervenire per evitare conseguenze sull’economia. Non ha paragoni neppure la dimensione di massa degli interessi coinvolti, basta pensare ai fondi pensione che partecipano allegramente a questo casinò. Alla finanza si affiancano grandi soggetti economici negli armamenti, nell’energia, ecc. che vogliono mano libera. Finanza e lobbies economiche bloccano ogni tentativo di ragionamento collettivo sul futuro. Il guadagno a breve e ad ogni costo non ha bisogno di regole democratiche ma solo della certezza di incassare i guadagni. Solo il progetto è a medio/ lungo periodo e richiede regole democratiche per il suo raggiungimento.
Pensare di tornare a prima della crisi è un errore. Questa non è una pausa. La situazione sarà  comunque molto diversa. Ne sono un preannuncio le sofferenze imposte alla Grecia che ormai ha assunto il ruolo di untore. La divaricazione sociale è destinata a battere ogni record, tanto più che i vari manager hanno ripreso allegramente ad aumentarsi il reddito. La crisi non è un fenomeno naturale inevitabile, ma occorre porsi il problema di un sistema di regole per controllare, scoraggiare, vietare, prima che sia troppo tardi.
Torna il bisogno di un’area di definizione pubblica delle regole, che non può essere modellata solo sui vecchi Stati. Anche Obama ha fatto approvare una normativa interessante sulla finanza (poco attuata) ma riguarda solo gli Usa, non i mercati mondiali, sui quali anzi i capitali con base negli Usa si sono sentiti liberi di agire. La Cina ha posto il problema di una nuova moneta internazionale per gli scambi, ora di fronte al silenzio punta ad un patto a 2 tra il grande debitore e il grande creditore.
L’Europa è stata afona. Ora si riparla di Tobin tax che è uno strumento necessario per controllare e disincentivare le speculazioni, per far pagare il conto anche alla finanza. Ma la Tobin non basta, occorre che le banche tornino al loro mestiere e va definito un quadro di regole e divieti che diano la certezza dei prodotti finanziari incapsulati in un titolo. Altrimenti avremo ancora crisi finanziaria, intervento degli Stati, attacco ai debiti sovrani, conseguenze scaricate sulle popolazioni sempre più impoverite e schiacciate tra rivolta e rassegnazione. Le ricette neoliberali oggi dominanti sono dello stesso segno di quelle che hanno portato alla crisi.
La sinistra deve offrire un’altra via d’uscita dalla crisi, partendo dall’analisi della crisi del capitalismo, indicando una società  e un’economia più giuste, solidali e rispettose dell’ambiente, respingendo le derive totalitarie e contrastando i focolai di guerra.

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