CATTIVERIA E IRONIA NEI VERSI DI ZEICHEN

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Casa di rieducazione il nuovo “breviario” offerto ai lettori da Valentino Zeichen (Lo Specchio Mondadori) prende le mosse da una sorta di dialogo poetico in memoria di Dario Bellezza. Zeichen rivisita la casa di Bellezza, malconcia e malmessa e Dario Bellezza racconta l’ospitalità  di Zeichen nella sua baracca ormai leggendaria, ma pur sempre baracca. Ci vorrebbe, dice Bellezza, le cui parole sono state raccolte da alcuni amici e poi riferite a Zeichen, un poeta del realismo socialista per descrivere quel che accade nella baracca di Zeichen. Pensate che cucina in un cesso negandone l’uso a chi ne ha bisogno. Secondo Bellezza Zeichen è convinto che tutti i sanitari siano dei Duchamp! 
Quella di Zeichen è, direbbero gli scacchisti, una mossa del cavallo. Intanto resuscita Bellezza e lo fa parlare: (“Dalla viva voce di D.B.”, recita il titolo) ma in realtà  lo fa parlare come parla Zeichen e non come parlava Bellezza, poeta viscerale per eccellenza. Ed è proprio la visceralità  come arma poetica ad essere esclusa e persino combattuta in questo libro ricorrendo alle arti magiche di un poeta tutto di testa come l’autore intento alla “rieducazione”. «Zeichen» dice ancora Bellezza, «sarebbe anche un bravo poeta/ ma è troppo pigro per applicarsi». In quella pigrizia Zeichen si crogiola, convinto, invece, che la (sua) poesia venga proprio da lì: un salto indietro nel tempo, una dedica ad un amico lontano, uno scambio di saluti poetici con artisti a lungo frequentati come Luigi Ontani o Carla Accardi. 
Casa di rieducazione è dunque un libro-diario, ma anche una sorta di narrazione in versi che recupera luoghi e persone mescolando oggi e ieri in un continuo va-e-vieni. Villa Borghese è un giardino delle meraviglie: Zeichen ci è cresciuto accanto al padre giardiniere (qui protagonista di una poesia tra le più ricche), ci è cresciuto leggendo Salgari o arrampicandosi sulla statua di Victor Hugo o su quella di Goethe. La gradinata della Galleria d’Arte Moderna con accanto il suo Caffè è un palcoscenico all’aperto e all’interno del museo si può ammirare una sezione di Villa Borghese, il Parco dei Daini, in un dipinto di Balla. Proprio quello era per il poeta il luogo eletto di interminabili partite di pallone. «La superficie del Parco dei Daini/ è all’incirca di 350 passi per 150;/ Balla ne avrà  estratto/ la radice quadrata aurea/ di cm 390x 190 d’area:/ misure appese del quadro». E comunque, avverte Zeichen, «In una sala appartata del museo/scambiai per opera d’arte un divano/ accomodante…». 
Accanto a veri e propri poemetti dove è anche frequente l’uso della rima baciata con funzione di abbassamento del tono poetico alto che Zeichen rifugge, figurano molti foglietti sparsi, appunti sarcastico-velenosi, anche contro certe poetesse “dolorose” in vena di lacrimare sulle colleghe russe. D’altra parte, sostiene, i poeti hanno smesso da tempo di frequentare gli angeli: sono atei e viaggiano per lo più in aereo. La poesia, azzardiamo noi, è spesso come la passeggiata, descritta in “Quale passeggiata?”. «Non appena fuori di casa/ ci si chiede quale passo/ si dovrebbe adottare/ non avendo dove andare./ Lo stato d’animo detta il moto/ perpetuo, alla vista del vuoto…». Non è un felice, leggerissimo autoritratto? L’occhio di Zeichen è mobile, ironico e talvolta complice, come quando celebra la “maga Flash”, cioè la fotografa Elisabetta Catalano, che ti immortala con il suo obiettivo e poi ti appende al muro per una mostra o quando mette all’inizio del nuovo anno un calendario nella valigia di Mireille «affinché abbia un ricambio/di giorni futuri».
Ma Zeichen sa essere duro come quando inneggia alla morte della matrigna odiata (l’altra poesia sulla matrigna francamente l’avrei cestinata) e provocatore. Gioca Zeichen, provoca, avvelena l’aria, inciampa nei topi (ve ne sono molti nel libro). E indica un rimedio universale (“La proprietà  violata”) per proteggere i beni spirituali: «mettere tutto sotto metafora».


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