by Editore | 23 Febbraio 2012 8:56
Già annunciato all’inizio del mese, l’accordo è stato finalmente firmato al ministero del Lavoro. «Ma pur valutando positivamente l’esito dell’incontro – puntualizza Stefania Pomante, segretaria nazionale Filctem Cgil- questa vertenza troverà una positiva e soddisfacente conclusione solo quando tutte le lavoratrici Omsa potranno tornare a lavorare». Perché al di là delle promesse del patròn Nerino Grassi, sotto la lente di ingrandimento è ormai finita l’intera strategia d’azione del gruppo Golden lady, forte lo scorso anno di un fatturato di 620 milioni di euro e storicamente leader nel settore della calzetteria. Marchi storici, come l’Omsa, e conti in attivo. Ma con la spiccata propensione a chiudere le fabbriche italiane e aprire oltreconfine all’est. Dove il lavoro, come ha ben documentato domenica scorsa la «Presa diretta» televisiva di Riccardo Iacona, viene pagato un quinto rispetto alle paghe delle operaie italiane. A riprova è stato chiuso anche lo stabilimento di Gissi, nel chietino, con 382 lavoratrici finite in cig straordinaria per un solo anno. Mentre nella fabbrica di Basciano, vicino a Teramo, sono stati appena chiusi due reparti con una cigs di due anni per 40 lavoratrici. Uno stillicidio di fronte al quale le istituzioni e gli stessi sindacati non hanno saputo far fronte, se non prendendo tempo con il ricorso agli ammortizzatori sociali.
A Faenza invece, dove Nerino Grassi è da decenni uno dei poteri forti della città , la reazione c’è stata. Tanto da portare negli ultimi due anni tutta una serie di mobilitazioni e una vera e propria campagna di boicottaggio dei prodotti Golden Lady, che ha avuto una buona eco mediatica e ha fatto riflettere management e proprietà . Anche se l’obiettivo di una reindustralizzazione del sito produttivo appare ancora lontana. Nell’incontro al ministero del Lavoro, la Golden Lady ha annunciato per l’ennesima volta che c’è un investitore interessato all’area, nel settore del legno-arredo-mobili, con una potenzialità di riassunzione per almeno 120 lavoratrici. Mentre altre 30 potrebbero essere riassorbite da un outlet della zona. «L’azienda ha dichiarato che il progetto è in fase avanzata di progettazione – riassume Stefania Pomante – e le istituzioni presenti al tavolo, in particolar modo il comune di Faenza, hanno ribadito la serietà del piano. Così il ministero dello Sviluppo economico si è reso disponibile a convocare le parti entro il 9 marzo, per esaminare lo stato di avanzamento dei progetti».
Il problema è che, per ormai consolidata esperienza, le dichiarazioni di intenti di Golden Lady vanno prese con le molle. «Quando Grassi nel 2005 inaugurò gli stabilimenti serbi – ricorda Samuela Meci, che per la Filctem Cgil ravennate segue da tempo la vertenza Omsa – al tempo stesso assicurò che la filiera produttiva sarebbe rimasta in Italia. Poi si è visto come è andata. Quanto al progetto di reindustrializzazione, anche oggi al ministero non si è voluto spiegare chi c’è dietro. L’azienda continua a dire che il riserbo è necessario perché le trattative sono in corso, e le istituzioni locali si fanno garanti del progetto. Ma noi non lo abbiamo ancora visto, e non sappiamo quali saranno i finanziamenti a disposizione per una operazione così complessa. Invece c’è bisogno di certezze: sia sull’occupazione, per tutte le lavoratrici ex Omsa, che per la qualità del lavoro e della produzione».
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