C’era una volta la tessera
Per anni e anni nelle campagne la Dc era: «la Democrazia»; così come nelle periferie operaie il Pci era naturalmente: «il Partito». Impossibile sbagliarsi. Al telefono il centralinista del Msi, allora allocato tra polverosi labari a Palazzo del Drago, rispondeva stentoreo: «Movimento!».
Si chiamavano «camerati», o «compagni», oppure «amici»; ci si salutava con il braccio levato o con il pugno chiuso, «anche se noi liberali – dovette spiegare Malagodi – ci stringiamo la mano». C’erano allora simboli, inni, quotidiani e sedi immediatamente riconoscibili. Per circa mezzo secolo democristiani, comunisti e socialisti usurparono la toponomastica di piazza del Gesù, di via delle Botteghe Oscure e della stessa via del Corso, che pure ospitava monumenti più durevoli del palazzone del Psi, cui pure, nell’era un po’ megalomane del tardocraxismo parve opportuno acquistare un cinema.
Però poi tutto passa, specialmente l’età dell’oro. E se oggi il cine Belsito è chiuso e abbandonato, e a palazzo Cenci-Bolognetti, il «palazzo dei veleni» dello scudocrociato, c’è la redazione del Male, si segnala che la sezione comunista della Bolognina da cui nel 1989 Occhetto annunciò la «Svolta» è diventata – oh, lacrimae rerum! – un centro estetico.
Ma questo non toglie che l’Italia sia stata a lungo, perfino sul piano costituzionale, La Repubblica dei partiti, come s’intitola un libro di Pietro Scoppola (il Mulino, 1991). Fin dal Cln i partiti organizzarono la fragile democrazia prendendosi cura di trasformare delle tribù in popoli: così uguali e diversi tra loro da poter collaborare e insieme darsi battaglia. E subito allora in quelle appartenenze ci furono eroi, martiri, lapidi, monumenti e scuole di partito, tessere e probiviri, scrutatori ai seggi con la fascia al braccio, intellettuali organici e organizzazioni collaterali, e viaggi turistici, colonie estive, campi da bocce, gare sportive, sfilate di miss, servizi d’ordine, ideologi, faccendieri e affari.
Il Pci curava quelli con i paesi dell’Est, dopo il centrosinistra la Dc e il Psi si divisero le Partecipazioni statali, rientrando appunto il finanziamento ai partiti di governo, come teorizzò un futuro capo democristiano, «tra i compiti diciamo subistituzionali degli enti». Del resto Enrico Mattei usava i partiti «come dei taxi» – anche se poi lui fu abbattuto mentre loro rimasero a circolare per altri trent’anni, esercitando il potere interno ed esterno per cooptazioni, combinazioni e predestinazioni.
Piccolo grande mondo antico. Agenzie di consenso, brivido militante, sportelli aperti nel vivo della società , meglio che patronati d’assistenza, erogatori di favori e di dignità . Non di rado i partiti accompagnavano i seguaci perfino oltre la morte, la tessera deposta nella bara, le bandiere fuori e dentro le chiese, nell’apparato del Pci c’era un funzionario che gestiva i rinfreschi e i funerali, per questo soprannominato «dall’Alfa all’Omega».
Un minimo approccio antropologico segnala come quelle appartenenze si distinguessero anche per il cibo: dalle «salamelle» dei festival dell’Unità alle energiche tavolate para-ecclesiali dei dc, non per caso detti «forchettoni»; e secondo la medesima e simile differenza si ripartivano i vestiti e i simbolici accessori dei leader: i sandali di La Pira, il basco di Nenni, il doppiopetto di Togliatti.
Quando Craxi apparve a torso avvolto in un pareo su una spiaggia tunisina, tutto stava per finire. Le lettere di Moro sono il doloroso congedo al sistema dei partiti, e l’ultimo comizio di Berlinguer è il miglior ricordo che ognuno vorrebbe tener vivo nel cuore.
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