Brigate internazionali in azione in Siria a fianco degli insorti

by Sergio Segio | 10 Febbraio 2012 8:03

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WASHINGTON — La «legione» libica che combatte al fianco dei ribelli siriani ricorda i suoi «martiri». Sulla stampa di Bengasi è infatti apparsa la notizia della morte di tre jihadisti partiti dalla città  nordafricana. I fratelli Talal e Ahmed Faitouri, insieme al loro amico Ahmed Aqouri, sono caduti in uno scontro a fuoco a Homs. Chi li conosceva ha raccontato che avevano lasciato la Libia in dicembre per entrare, via Libano, nel territorio siriano. Interessante la data. Perché è proprio allora che il patto tra le due rivoluzioni entra in una nuova fase. In quei giorni, il presidente del Consiglio nazionale siriano Burhan Ghalioun incontra a Tripoli i nuovi dirigenti. E scatta il piano d’azione che porta i volontari in Siria. Quanti? Secondo alcuni 100-200 uomini, quasi 600 per altre fonti, sparpagliati tra Homs, Idlib e Rastan. Nessuno li ha fermati e nessuno li fermerà . Come ha detto ieri il ministro degli Esteri libico Ashour Bin Kayal: «È impossibile controllare il desiderio del popolo». Damasco è ormai un avversario, tanto è vero Tripoli ha decretato l’espulsione dei diplomatici siriani.
Allora non stupisce che la missione di sostegno alla rivolta sia coordinata dall’ex qaedista Abdelhakim Belhaj, figura di spicco della nuova Libia, e dal suo vice Mahdi Al Harati. Quest’ultimo è un personaggio dalla storia singolare. Residente da 20 anni a Dublino (Irlanda), Al Harati è tornato in Libia per combattere Gheddafi e in poco tempo è diventato uno dei leader della Brigata Tripoli, composta da esuli provenienti da Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti. Mille uomini, ben armati, con ottimo equipaggiamento che sono stati tra i primi a entrare nella caserma del Raìs. In seguito, Al Harati è rimasto al fianco di Belhaj ma quando sono nati contrasti con il Consiglio ha deciso di partire per un viaggio tra Dublino e il Qatar. Parentesi accompagnata da un episodio controverso. Il libico ha denunciato il furto di una grossa somma di denaro che gli sarebbe stata consegnata da «un agente della Cia». Frase che, ovviamente, ha alimentato sospetti e teorie su chi sia veramente l’ex esule. Sicuramente è molto dinamico. Perché Al Harati, già  alla fine di dicembre, è in Siria. Lo testimonia un reporter francese con il quale si muove nei villaggi al confine con la Turchia. Di nuovo, i libici mostrano di essere preparati per la guerra. Visori notturni, telefoni satellitari Thuraya e Kalashnikov. Fonti arabe sostengono che i volontari hanno risalito una filiera che si dirama tra Cipro, Libano (Tripoli, nel Nord), Iskenderun (Turchia) e forse anche Giordania per poi approdare in Siria.
Nuclei che avrebbero l’appoggio di piccoli gruppi di forze speciali del Qatar, saudite e occidentali (in particolari britanniche). I due Paesi arabi, oltre ai consiglieri, ci mettono anche i soldi. Denaro con il quale verrebbe acquistato materiale trasferito con aerei cargo proprio a Iskenderun. In questa città  si parla anche della presenza di un «ufficio avanzato» gestito da 007 incaricati di assistere i gruppi di disertori siriani. Per ora la pipeline ha portato solo «gocce», ma è probabile che gli aiuti possano crescere. Negli Usa, infatti, c’è chi invoca una fornitura massiccia agli insorti.
I movimenti di combattenti «stranieri» non sono sfuggiti all’occhio attento dei russi. I servizi segreti sono immersi nella realtà  siriana, hanno uomini ovunque. E ieri Mosca ha espresso il proprio «allarme». Il regime, invece, continua gli attacchi a Homs. Quasi 80 le vittime, falciate da un pesante bombardamento.

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