by Editore | 20 Febbraio 2012 8:19
ROMA – Senza cassa integrazione straordinaria salterebbero circa 800 mila posti. Ma non adesso che siamo in piena recessione. A partire dal 2013, quando dovrebbe cominciare lentamente la ripresa. Sta in questo apparente paradosso la “strana” alleanza imprese-sindacati a difesa della cassa integrazione straordinaria, contro lo «strano» (copyright del premier) governo Monti. E questo andranno a dire oggi al ministro del Lavoro, Elsa Fornero, il leader della Cgil, Susanna Camusso, ma anche il presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia. Entrambe sanno bene che la riforma degli ammortizzatori sociali disegnata a grandi linee dal ministro scatterà solo tra diciotto mesi e che, quindi, l’emergenza del 2012 (il Pil scenderà dell’1,5 per cento, secondo le stime della Banca d’Italia) sarà affrontata con tutti gli arnesi della vecchia cassetta degli attrezzi, dalla cassa integrazione ordinaria a quella straordinaria fino alla cassa in deroga. Ma ciò che accomuna i sindacati (tutti, non solo la Cgil) e le associazioni imprenditoriali, è il timore che ci si possa trovare senza più paracaduti efficaci nel momento della ripresa, quando le aziende dovranno ristrutturarsi per cambiare prodotti e anche una parte della propria forza lavoro, per seguire i mercati, per agganciare i mutamenti della domanda. Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ha descritto uno scenario molto pessimistico, parlando di «licenziamenti di massa», e questa volta la sua analisi non si discosta molto da quel che pensano i sindacati considerati moderati e gli stessi imprenditori.
La stima degli 800 mila posti a rischio arriva da Fulvio Fammoni, membro della segreteria nazionale della Cgil, responsabile delle politiche per il lavoro. E si ricava da due dati di fondo: mediamente, durante l’anno, i lavoratori in cassa integrazione a zero ore (cioè che non vanno mai a lavorare e percepiscono solo il sostegno al reddito) sono intorno ai 4-500 mila, mentre nell’arco del 2010 sono stati 1,5 milioni i lavoratori interessati alla cassa integrazione nelle sue varie versioni.
Incrociando questi due dati, la Cgil arriva a quei circa 800 mila lavoratori che, senza più la cassa straordinaria, potrebbero essere destinati – secondo lo schema accennato dalla Fornero – al sussidio di disoccupazione, privi di legami con l’azienda. Il problema per questi lavoratori esploderà proprio con i primi segnali della ripresa. Perché sarà in quella fase che le aziende, ora costrette a muoversi con cautela o addirittura a stare ferme, cominceranno a doversi riconvertirsi per adeguare i volumi produttivi e i prodotti al nuovo scenario del mercato. Esattamente quello che accadde nel nostro apparato produttivo a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta. Ma quella metamorfosi industriale venne gestita proprio con dosi massicce e interminabili di cassa integrazione straordinaria.
Così, dopo aver incassato un sostanziale via libera alla sua impostazione per ridurre la precarietà (contratti flessibili più cari e sgravi contributivi per chi stabilizza i contratti a termine), per il ministro Fornero, dunque, da oggi si apre una sfida molto più complicata. Forse ancora più di quella che ci sarà quando sarà aperto il capitolo dell’articolo 18. Perché sulla cassa straordinaria le controparti sono unite in un «no» a un progetto che – sostengono – sembra elaborato troppo in laboratorio, o nelle aule universitarie, e poco aderente alla realtà . Il ministro dovrà spiegare come intende sostituire la funzione attualmente svolta dalla cassa straordinaria. E se – come alcuni ipotizzano – quel ruolo dovrebbe essere assorbito dalla cassa ordinaria, non si capisce perché la Fornero abbia detto che la cassa straordinaria vada tout court «superata». Di certo non può essere solo una questione nominalistica. Per questo è scattato l’allarme.
E oggi, il ministro Fornero dovrebbe anche dire se il terzo elemento della sua proposta (dopo la cassa integrazione e il sussidio di disoccupazione) sia davvero quel salario o reddito minimo sul modello di quanto già avviene in particolare nei paesi del nord Europa a cui il ministro ha detto di essere «personalmente» favorevole ma la cui introduzione richiederebbe molte risorse. Quelle che nessuno governo, finora, è però riuscito a mettere sul tavolo.
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