Vogliono la sicurezza e i killer

by Editore | 11 Gennaio 2012 9:49

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A sera, quando ormai ogni angolo del quartiere di Torpignattara è illuminato dalla luce di migliaia di candele bianche deposte in memoria del giovane Zhou Zeng e della sua figlioletta di nove mesi, Joy, uccisi con un sol colpo di pistola da due rapinatori senza scrupoli la sera del 4 gennaio scorso, non rimane altro che lo spazio per la commozione, il cordoglio e i sentimenti di solidarietà  con tutta la comunità  cinese di Roma espressi da centinaia di italiani e immigrati di ogni nazionalità . Ma la fiaccolata che alle tre del pomeriggio di ieri è partita da Piazza Vittorio e ha percorso i tre chilometri e mezzo che separano la Chinatown romana dal luogo del delitto – per ricongiungersi a un secondo corteo organizzato dai residenti di Torpignattara – chiedeva piuttosto «sicurezza e giustizia». Migliaia di cittadini cinesi che per l’occasione hanno chiuso i loro negozi in segno di lutto (serrando di fatto completamente il quartiere Esquilino) hanno scandito in mandarino un solo slogan: «No alla violenza. Vogliamo sicurezza, vogliamo i colpevoli». Chiedono più poliziotti e più carcere, ribaltando così quello stereotipo leghista che ha caratterizzato la politica dello scorso decennio e che brandiva la sicurezza come una clava contro gli immigrati. Lo fa notare l’onorevole Livia Turco, del Pd, unica parlamentare presente insieme al collega di partito Jean Leonard Touadì. Ma verso le cinque del pomeriggio se ne accorge anche la governatrice del Lazio, Renata Polverini, che si precipita in un quartiere a lei sconosciuto per incalzare la folla con la solita retorica securitaria e con il giustizialismo più becero e scontato. Nessuno la contesta, in giorni di lutto come questi, ma più di qualcuno non regge e se ne va dal piazzale di cemento che ospita il piccolo mercato della Marranella e che è l’unico slargo di un quartiere senza piazze e con tante, troppe sale da gioco. 
Una manifestazione così non s’era mai vista a Roma, una prima volta per la comunità  cinese che l’ha indetta ed è riuscita a portare in piazza quella massa di lavoratori di solito invisibile, di recente immigrazione, assolutamente non italianofoni, diffidenti, impauriti e refrattari a qualsiasi tentativo di comunicazione, segno di scarsa integrazione. Portano crisantemi e fasce bianche al braccio e mostrano le foto della bellissima Joy e di Zhou, «che ora – accusa Marco Wong, presidente onorario di Associna, associazione di cinesi di seconda generazione – da vittima è passato ad essere descritto dai media italiani quasi come un delinquente». È questo, spiega Wong, uno dei motivi del mutismo tanto impenetrabile che sembra quasi imposto. Una comunità  esausta per le continue aggressioni, furti, rapine che raccontano di subire in una città  che agli occhi dei romani appare assai meno pericolosa. «Succede perché noi cinesi abbiamo l’abitudine di non usare le banche e di portare sempre molto denaro in contante, ma soprattutto di non denunciare mai gli episodi di violenza», racconta Jian, uno dei pochi ragazzi presenti cresciuto in Italia e perfettamente integrato. «Denunciare non serve a niente, così come parlare con i giornalisti», continua Jian che racconta come la maggior parte degli immigrati che lavorano sodo e diventano benestanti in Italia arrivino da una regione contadina del sudest, lo Zhe Jiang, e continuino la loro vita in città  con lo stesso stile: a testa bassa, confidando solo su pochi intimi e credendo poco nello Stato. Conferma Marco Wong, che però ci tiene a precisare: «Nessuno accusa in particolare i cittadini maghrebini», la cui comunità  ha aderito alla manifestazione di ieri (ma non vi ha partecipato in massa, come invece aveva chiesto il presidente dell’Ainai, Belaitouche), come decine di altre associazioni di immigrati e dei quartieri. «Ci sono malviventi di ogni nazionalità », smorza i toni Wong. E lo fa anche Lucia Hiu King, delegata della comunità  cinese in Campidoglio che parla di un’ottima convivenza e integrazione con i romani ma chiede a nome dei suoi concittadini più certezza della pena. La paura di denunciare, dice, deriva dalla consapevolezza che i responsabili saranno presto liberi. La sicurezza, dunque, non più come bandiera della destra da sventolare contro gli immigrati? «Ma noi ci sentiamo cittadini italiani», risponde la delegata che è stata molto criticata recentemente per aver partecipato a un incontro con l’organizzazione di estrema destra CasaPound, ma ne prende politicamente le distanze.
Ieri, alla fiaccolata, il sindaco Alemanno non c’era : «Questa manifestazione deve rimanere loro, delle comunità  immigrate», ha detto ma inviando il suo delegato alla sicurezza, Ciardi, che un paio di giorni fa ha rassicurato i romani con la “notizia” del furto di tre pistole al giorno nella capitale. 
Quando a sera, insieme agli striscioni delle tante organizzazioni di immigrati che chiedono di fermare il razzismo, la xenofobia e il neo-fascismo, arriva a Torpignattara un lenzuolo bianco lungo una trentina di metri ricoperto dalle firme dei connazionali cinesi di Zhou, Joy e Liyam, la donna – madre e moglie – sopravvissuta e devastata dal dolore, è il giovane presidente del VI municipio, Gianmarco Palmieri, a lasciare una parola di speranza. «Questo non è un punto di approdo, ma è l’inizio di un rapporto tra i cittadini di questo splendida città  multietnica per costruire quartieri più solidali, più comunicativi, più aggreganti, e quindi più sicuri».

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