Vincoli di bilancio e sanzioni dure I due obiettivi chiave dei tedeschi

by Editore | 8 Gennaio 2012 8:31

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BRUXELLES — Dove vuole arrivare la Germania? Nei giorni scorsi, alla vigilia degli incontri «tecnici» a Bruxelles sull’Unione economica rafforzata, più di un diplomatico temeva che i tedeschi volessero spinare il perimetro della trattativa. E che, in qualche modo, si capovolgesse la frase di Thomas Mann citata nell’agosto scorso in un’intervista dall’ex cancelliere Helmut Kohl: «Non vogliamo un’Europa tedesca, piuttosto una Germania europea». 
Sta di fatto che l’attuale cancelliera, Angela Merkel, che forse a questo punto andrebbe qualificata come «ex» allieva di Kohl, ora ha fretta. Certo, sullo sfondo ci sono le elezioni politiche del 2013 e la «questione europea» potrebbe diventare un’insidia (o un’opportunità  in più) nella campagna elettorale. Anche se, inutile nasconderlo, in Germania come altrove alle urne non si vince o si perde solo «sull’Europa».
In ogni caso, nelle ultime riunioni di Bruxelles, i tedeschi non hanno forzato la mano. Anzi, la delegazione in arrivo da Berlino ha limitato gli interventi al minimo sindacale. Salvo una precisazione di peso: «Non rinunciamo all’idea di collegare la partenza del nuovo fondo di aiuti (Esm «European stability mechanism») all’introduzione dei vincoli che stiamo discutendo qui. Ne parleremo un’altra volta». 
Ma la Germania resta il perno della trattativa. La sensazione netta è che anche in politica ormai valga la regola dei mercati finanziari: gli altri partner stanno bene attenti a non allargare troppo lo «spread», cioè la distanza dall’ancoraggio tedesco. Altrimenti si rischia di finire fuori gioco. 
In realtà  Merkel, di fatto, ha già  ottenuto almeno uno dei due obiettivi fondamentali, talmente dichiarati da essere trascritti nel sito ufficiale del «Bundesregierung» (il governo federale). Ecco il punto ormai acquisito: «Ogni Stato dovrà  inserire i vincoli di bilancio (deficit e debito) nella propria Costituzione». Resta ancora da portare a casa (nel senso di Berlino) l’altro aspetto chiave: «Saranno previste delle sanzioni automatiche per i Paesi che non rispettano i tetti concordati. E solo una maggioranza qualificata nel Consiglio potrà  bloccare questo meccanismo».
Elmar Brok, 65 anni, deputato della Vestfalia, compagno di partito (la Cdu) della cancelliera, è uno dei tre rappresentanti dell’Europarlamento nel negoziato sulle nuove regole di bilancio. «In Germania quei due punti sono considerati indispensabili per uscire dalla crisi dell’euro e per risolvere le situazioni legate ad alcuni Stati. Non si potevano ottenere che con un testo di questo tipo, poiché sotto questo aspetto il trattato di Lisbona non serve». 
Può dispiacere, forse sarà  sbagliato come sostengono frotte di economisti e di osservatori, ma le priorità  e la scaletta della cancelliera non prevedono eurobond e Banca centrale garante di ultima istanza. Di questo se ne potrà  parlare, forse, in un secondo momento. Prima la Merkel vuole regole concrete e, soprattutto blindate da sanzioni credibili. Per ottenerle occorre produrre un mostriciattolo giuridico come l’accordo firmato dai 26 Paesi (tutti tranne il Regno Unito) il 9 dicembre scorso? Pazienza. Bisogna venire incontro alle richieste dell’Italia sul debito? Entro certi limiti, sì. Occorre «abbozzare» nelle riunioni tecniche e rassicurare le istituzioni di Bruxelles, cioè Commissione ed Europarlamento, che il nuovo trattato sarà  comunque riassorbito nella cornice comunitaria entro 5 anni? D’accordo. Tutto ciò purché nel giro di un mese quei due nuovi vincoli siano operativi. La Germania, (nel senso più lato, non solo la leadership della Merkel), ha bisogno di riequilibrare il rapporto con «l’entità  Europa». Nel quadro di un bilancio che non è solo contabile. È vero, l’euro ha favorito le esportazioni tedesche; ha lanciato le multinazionali anche nei mercati fuori dalla zona di eurolandia. Nel 2011 il valore dell’export ha superato la soglia record di 1.075 miliardi. E chiaramente il governo federale ne beneficia con entrate fiscali nell’ordine delle centinaia di miliardi. Nello stesso tempo, però, va ricordato che anche le importazioni, cioè i ricavi realizzati in Germania dal resto del mondo, hanno raggiunto quota 983 miliardi (dati della Bga, l’Associazione federale tedesca per il commercio all’ingrosso). Ma non è solo questo. Fin dall’inizio della fondazione europea, fin dai tempi del cancelliere Joseph Adenauer, la Germania è stata sempre un «contributore netto» al bilancio europeo: della Cee prima, dell’Unione Europea dopo e lo sarà  anche nell’Unione economica rafforzata, con il nuovo «Esm». Ci sono le cifre (differenza tra dare e avere): nell’ultima fase tra i 6 e gli 8 miliardi di euro all’anno; con una previsione di 69,5 miliardi netti per il periodo 2014-2020 (la Gran Bretagna è a 47,5 miliardi, l’Olanda a 31,3, la Francia a 30,2 e l’Italia a 24,4). Ma soprattutto c’è la percezione di un ruolo, quello dell’ufficiale pagatore a piè di lista delle note spese altrui. Da anni, prima ancora che arrivasse al potere Angela Merkel, l’opinione pubblica chiede che almeno si capisca dove finiscono i soldi.

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