Via l’art. 18 E i contratti nelle ferrovie

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Licenziare e privatizzare. Questa la fase 2 del governo Monti, che parte dalla riscrittura dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. È l’articolo 3 del decreto – ancora in forma di bozza – che verrà  discusso nei prossimi giorni, a seppellire la pietra miliare dei diritti, aumentando da 15 a 50 la soglia del numero dei dipendenti per le aziende che vogliono licenziare senza giusta causa. All’articolo 18 della legge 300 del 1970 viene aggiunto il comma 1 bis, che recita: «In caso di incorporazione o di fusione di due o più imprese che occupano alle proprie dipendenze alla data del 31 gennaio 2012 un numero di prestatori d’opera pari o inferiori a quindici, il numero di prestatori d’opera di cui al comma precedente è elevato a cinquanta». 
Nella bozza di legge che il manifesto ha potuto consultare c’è poi il commento dell’estensore: «Chiarire che non peggiora lo status quo dei lavoratori». Una frase evidenziata, prima di una relazione illustrativa di appena sette righe, per rafforzare la scelta che aprirà  il varco ad una estensione della possibilità  di licenziare: è evidente, infatti, che la possibilità  di innalzare il tetto dei 15 lavoratori verrà  richiesta dalle aziende per ora non incluse in quanto c’è «distorsione del mercato».
L’intenzionalità  contro il lavoro dipendente è confermata e amplificata dall’art. 24, che titola: «eliminazione dell’obbligo di applicare i contratti collettivi nazionali di settore nel trasporto ferroviario». Un regalo «ad personam» per i neo-entranti nel settore – Montezemolo e Della Valle – ovviamente compensato con la stessa «liberalità » a favore di Mauro Moretti e Ferrovie dello stato (cui viene però sottratta Rete Ferroviaria Italiana, che dovrà  diventare società  indipendente che permette «a tutti gli operatori» di usare i binari, pagando. È il «modello inglese», che ha distrutto la celebrata sicurezza delle «ferrovie britanniche», moltiplicando gli incidenti gravi o gravissimi.
Anche la privatizzazione dei servizi pubblici locali è ampiamente inserita nel testo, in forma talmente generica (Capo V) da affidare soltanto alla relazione illustrativa un mini-chiarimento anodino: «l’evidente finalità  delle disposizioni è quella di consentire ai servizi pubblici di rilevanza economica di accedere ampiamente al mercato riducendo la gestione cosiddetta ‘in house’». Nulla è dunque escluso, nemmeno l’acqua. 
Anzi. Il boccone ghiotto che tanti esponenti del governo Monti ormai nominano apertamente è proprio questo, oltre agli altri servizi già  ampiamente avviati a privatizzazione dal governo Berlusconi, con l’articolo 4 della manovra del 13 agosto. Mossa che si cela dietro l’intervento sulle liberalizzazioni, dalle licenze dei taxi fino alle farmacie e agli ordini professionali (la prevista abolizione delle «tariffe minime e massime»). Anche le edicole vengono investite in pieno da questa furia che confonde la moltiplicazione dei punti vendita con la crescita degli acquisti (che dipendono ovviamente dalle disponibilità  di portafoglio).
Qualche dettaglio – fondamentale – in più sul provvedimento che Monti e Passera stanno preparando, con l’importante aiuto dell’ex antitrust Catricalà , era già  apparso ieri. Si prevede la creazione di un ufficio presso Palazzo Chigi dedicato al monitoraggio sull’apertura ai mercati dei servizi pubblici locali. Una vera propria operazione «fiato sul collo» nei confronti dei comuni e delle regioni, ridotte in questa maniera a semplici esecutori delle direttive di Monti. 
Questo nuovo ufficio dovrebbe monitorare «la normativa regionale e locale (ovvero dei comuni, ndr) e individua, anche su segnalazione dell’Antitrust, le disposizioni contrastanti con la tutela e la promozione della concorrenza; assegna all’ente interessato un congruo termine per rimuovere i limiti alla concorrenza; supporta gli enti locali nel monitoraggio e nelle procedure di dismissione delle loro partecipazioni societarie nei servizi pubblici locali». L’unica precisazione arrivata dalla presidenza del consiglio riguarda i poteri dell’organismo, che «non avrà  la possibilità  di ispezione – ha spiegato palazzo Chigi – presso le aziende e presso i soggetti che possano detenere informazioni utili». 
Tra gli altri capitoli interessanti, nella fretta della lettura, appaiono l’«estensione della possibilità  di azione di classe» (la class action anglosassone, con curioso equivoco politico-lessicale), e il divieto per chi importa, raffina o produce carburanti di qualsiasi tipo di distribuirli in proprio. In pratica, si invitano gli esercenti singoli o associati ad acquistare le pompe di distribuzione.
Lo stesso principio viene applicato anche all’energia elettrica e al gas per uso domestico, e prepara quindi il terreno legislativo allo scorporo di SnamReteGas dall’Eni. 
Un regalo alle assicurazioni arriva dall’eliminazione delle «microinvalidità », che saranno risarcite solo se saranno riconosciute come «invalidità » a pieno titolo (la fine del «colpo di frusta», insomma). Sempre nello stesso senso pro-società  va l’intensificazione delle sanzioni per frodi, contraffazioni, false certificazione, ecc. Il resto è paccottiglia buona per imbellettare un provvedimento furiosamente anti-lavoro. Tipo la «possibilità  di applicare sconti», o «l’autorizzazione in commercio dei farmaci generici».


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