Vacche grasse e silos vuoti

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L’istituto diretto da Lester Brown analizza gli ultimi dati del Dipartimento (cioè ministero) dell’agricoltura del governo degli Stati Uniti. Il raccolto globale di cereali nel 2011 ha raggiunto 2.295 milioni di tonnellate, ovvero 53 milioni più del 2009 (il record precedente, mentre il 2010 era stato annata magra). I consumi anche sono saliti: 90 milioni di tonnellate in più, a un totale di 2.280 milioni. 
Il bilancio è un surplus di 15 milioni di tonnellate. Ma perché allora gli stock sono bassi? Perché, spiega il Earth Policy Institute, in 7 degli ultimi 12 anni era avvenuto il contrario, cioè il consumo superava la produzione.
Per intendersi, la produzione di cereali è la misura mondiale della produzione alimentare, perché quasi metà  delle caloria consumate (da noi umani) nel mondo viene direttamente da cereali, mentre l’altra metà  viene da prodotti di origine animale (latte e derivati, uova, carne), dove gli animali in questione sono a loro volta nutriti con cereali. Si consideri inoltre che i cereali sono in sostanza tre, quando si parla di derrate mondiali: grano e riso, destinati soprattutto all’alimentazione umana, e mais destinato più che altro agli animali d’allevamento.
Dunque nel 2011 i raccolti di grano, riso e mais sono stati tutti abbondanti. E però, gli stock immagazzinati nei silos mondiali (la quantità  che resta al momento di un nuovo raccolto, non consumata dal raccolto precedente) oggi coprono il fabbisogno mondiale per 75 giorni, all’attuale ritmo di consumi: negli anni ’80 coprivano 100 giorni. Per fare un esempio, nel 2006 questi stock erano crollati all’equivalente di 62 giorni di consumo mondiale, ed è allora che i prezzi hanno cominciato a salire (aiutati ovviamente da massicce speculazioni) fino a provocare l’ormai famosa crisi del 2007-2008, quando i prezzi sono raddoppiati o triplicati in breve tempo e in 35 paesi sono scoppiate proteste e rivolte per il cibo. Nel 2010, quando un’ondata di siccità , incendi fuori controllo e caldo record aveva decimato i raccolti di grano in Russia e paesi vicini, i prezzi avevano ricominciato a salire. E ora, ci avverte l’istituto di Lester Brown, il buon raccolto dell’anno appena concluso non basta a ricostituire gli stock.
Il Earth Policy Institute riassume alcune delle ragioni strutturali. Una è che la superfice coltivata sul pianeta continua a diminuire: un po’ perché terreni una volta fertili si degradano, supresfruttati o esposti a desertificazione ed erosione; un po’ anche perché cresce la competizione tra usi agricoli e industriali o di edilizia urbana: meno campi, più terreni occupati da fabbriche e città . Fattostà  che oggi nel mondo 700 milioni di ettari sono coltivati a cereali, e con 7 miliardi di umani fa 0,1 ettari coltivati pro capite: cinquant’anni fa erano il doppio. Anche le rese agricole diminuiscono: oggi il raccolto di cereali per ettaro è in media tre volte superiore agli anni ’50 (grazie al mix di varietà  ad alto rendimento, fertilizzanti chimici e migliori tecniche agricole), ma questo non si ripeterà , non ci sono altri miracoli in vista (non certo gli Ogm): anzi, in molte terre superfruttate le rese calano. Altre ragioni strutturali dei silos vuoti: sale la parte di cereali usata non per nutrire gli umani ma gli animali da allevamento oppure le automobili (sotto formas di biocarburanti). 
Conclude il Earth Policy Institute: con tante bocche da sfamare sul Pianeta, la prima cosa è «rimettere i campi a produrre cibo direttamente per gli umani, invece che per il bestiame o le automobili». E avverte con il clima terrestre sempre più imprevedibile, e il conseguente rischio di disastri naturali e penuria d’acqua dolce, ricostituire gli stock è urgente: come i contadini hanno sempre saputo, i buoni raccolti non si ripetono tutti gli anni.


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