Usa, la Corte suprema boccia il Gps “Mai nelle indagini, viola la privacy”
Il Gps invade i diritti del cittadino e il signor Antoine Jones, proprietario di un nightclub della capitale, Washington, può serenamente sfuggire alla condanna al carcere a vita per aver trafficato in cocaina. La polizia che lo inseguì nell’appartamento in cui trovò la droga e un milione di dollari cash infilò l’apparecchietto nella sua auto senza preventiva autorizzazione del giudice. Per la Corte Suprema degli Stati Uniti non ci sono dubbi. In un caso più che raro di sostanziale concordanza i nove supergiudici hanno stabilito che l’uso del Gps per controllare un sospetto viola il Quarto emendamento: quello appunto che vieta controlli e fermi senza ragione.
La sentenza sarà una strepitosa notizia per Jones ma una pessima novità per le forze di polizia di tutt’America: e dei cittadini che la legge dovrebbe proteggere. Ma come sempre il caso specifico è l’occasione per confrontarsi con quell’altra legge superiore che i supremi devono fare rispettare. E di fronte al Gps e alle diavolerie della tecnica gli illustrissimi togati hanno balbettato come gli studenti al primo esame di giurisprudenza: come possiamo, si è chiesto il giudice Samuel A. Alito, con Anthony Scalia uno dei due “italiani” dell’illustre consesso, decidere «su una tecnica di sorveglianza del 21esimo secolo» utilizzando «una legge del secolo 18esimo?».
La decisione ha messo in luce tutta l’impreparazione di una delle corti più alte del mondo di fronte alle sfide dell’hitech che stanno stravolgendo la nostra vita quotidiana. L’unanimità della conclusione non deve ingannare: i giudici concordano sulla violazione della proprietà del sospettato – il Gps piazzato nella sua auto – ma si dividono sul concetto di violazione della privacy. «Il presente caso» ha detto appunto il giudice Scalia «non richiede di dover rispondere oggi a questa domanda». Ma è proprio questa domanda quella che sta diventando sempre più cruciale: qual è il livello di protezione della privacy che la società moderna si aspetta. Nelle discussioni dei mesi scorsi la Corte ne ha continuamente dibattuto: arrivando a citare per ben sei volte quel “1984” di George Orwell che come si sa non è un articolo di qualche astrusa legge ma un romanzo fantascientifico sullo strapotere del Grande Fratello. Che cosa succede e come ci si difende – si sono chiesti i giudici – in un mondo in cui tecnicamente una telecamera può zoomarci in casa, agli angoli delle strade le tv a circuito chiuso controllano i passanti e la gente può spifferare tutta la sua privacy su Facebook?
L’ha spiegato bene una delle due donne nominate dal presidente Barack Obama. «La gente» ha scritto Sonia Sotomayor in una relazione di minoranza «rivela un mucchio di informazioni su se stessa a terze parti nell’esplicazione delle faccende quotidiane». La signora ha spiegato insomma che oggi (i Gps sono installati su 380 milioni di telefonini solo in America) per il beneficio della tecnica siamo tutti disposti a «una diminuzione della privacy». Ma qui torniamo allo strapotere delle autorità . «Io dubito che la gente possa accettare che il governo faccia per esempio controlli senza autorizzazione sui siti che uno ha visitato».
Ecco il punto chiave: l’autorizzazione del giudice a ogni intrusione della privacy. Per la cronaca, la polizia che inseguiva il re dei nightclub il mandato l’aveva pure ottenuto: ma quando fece funzionare il Gps era scaduto.
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