Unicredit a picco affossa Borsa e Mps

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MILANO – Scambi e perdite “monstre”, come gigante è l’aumento di capitale che Piazza Cordusio ha appena lanciato. La prospettiva di una ricapitalizzazione da 7,5 miliardi, ha fatto perdere a Unicredit in cinque sedute il 45% del suo valore e ieri, nel primo giorno della trattazione dei diritti, le azioni sono crollate ancora del 12,8% a 2,28 euro. 
I motivi dell’ennesimo capitombolo sono diversi, e di varia natura. Per prima cosa, sul mercato si percepisce una grande sfiducia nei confronti dell’Italia e la scarsa credibilità  del Paese si riflette su tutto il sistema creditizio. Le banche non solo saranno chiamate a sostenere le aziende italiane di fronte alla recessione, ma dovranno farsi carico della perdita di valore di quella fetta di debito pubblico che hanno accumulato negli anni. Non a caso ieri, mentre crollava Unicredit, capitolavano anche Mps (-14,3%) e Banco Popolare (-5,3%), due istituti che secondo gli investitori prima o poi avranno bisogno di dotarsi di nuovo patrimonio. In secondo luogo Unicredit paga un fattore dimensionale: la cifra che ha chiesto al mercato è monstre, perché 7,5 miliardi sono tantissimi, e lo sono ancora di più per i suoi azionisti, chiamati per la terza volta in tre anni a iniettare risorse nella banca. Solo alcuni dei soci storici di Piazza Cordusio che rappresentano il 10,7% del capitale, hanno infatti garantito che sottoscriveranno la loro parte. Pare inoltre che ci sia anche un fattore tecnico dietro i cali delle ultime sedute: per coprirsi dalle perdite di valore legate all’aumento, alcuni azionisti storici avrebbero comprato dei derivati, che per tutta risposta hanno avuto l’effetto di acuire le perdite del titolo. Una situazione kafkiana, in cui per limitare un effetto negativo, se ne è creato sul mercato uno più grande. Infine il difetto di Unicredit è quello di essere una pubblic company, ovvero di non avere un socio forte, ma tanti piccoli e piccolissimi azionisti: il 20% dell’istituto è in mano ai risparmiatori, che già  hanno perso molto (con un -58% il titolo è stato tra i peggiori del 2011) e ora non hanno più risorse, né voglia di investire in capitali di rischio. O almeno questo è quello che si evince dalla parabola borsistica dell’azione. E così ieri, nel primo giorno della trattazione dei diritti, grandi e piccoli soci si sono affrettati a vendere l’opzione (crollata del 65% a 0,47 euro, e quindi a sconto del 4,7% rispetto al prezzo di chiusura delle azioni), per racimolare parte delle risorse con cui poi potranno versare quegli 1,943 euro richiesti per i titoli di nuova emissione. Secondo gli esperti, dato il difficile contesto di mercato, c’è il rischio che l’azione (e di conseguenza l’opzione), scivoli ancora per avvicinarsi a quei 1,943 euro che dovranno essere versati per le nuove azioni. Detto questo, anche gli analisti più pessimisti non si aspettavano un simile capitombolo e ora concordano che il titolo sia molto sottovalutato. Lo stesso messaggio che anche ieri è stato ribadito dall’ad Federico Ghizzoni, che ha ricordato come grazie all’aumento Unicredit sarà  una delle banche più solide d’Europa. Intanto gli esperti stimano che un prezzo di 2,28 euro per ogni azione significa pagare solo un quarto degli asset tangibili di Unicredit, ovvero meno della metà  rispetto a Intesa Sanpaolo.


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