Una società  per ridurre il debito

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Il governo Monti punta a ridurre subito il debito pubblico per 50 miliardi. Aumentabili in seguito. Come? Cedendo Sace, Fintecna e altre partecipazioni alla Cassa depositi e prestiti. Verrebbe così pagata buona parte degli arretrati ai fornitori senza aumentare il debito e resterebbe una riserva per garantire le prime tappe del riequilibrio della finanza pubblica. Come ridurre il debito pubblico e, al tempo stesso, favorire la crescita dell’economia in attesa dei benefici effetti delle liberalizzazioni, stimati (dagli ottimisti) nell’1,5% del prodotto interno lordo? Il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, annuncia il pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni, circa 70 miliardi, attraverso nuovi Bot. Ma come farlo senza con ciò aumentare il debito pubblico, un macigno di 1900 miliardi di euro? Il soggetto di cui il governo Monti dispone per risolvere questa equazione a più incognite è la Cassa depositi e prestiti, una società  per azioni controllata al 70% dallo Stato e al 30% da 65 fondazioni bancarie. In che modo? Trasferendole, a pagamento, partecipazioni e aziende pubbliche. Ma andiamo con ordine.
L’Italia si è impegnata a ridurre il rapporto debito pubblico/Pil dal 120 al 60% in vent’anni. Immaginandolo costante, dovremmo tagliare il debito pubblico di 45 miliardi l’anno. Un impegno tremendo per entità  e durata. In sede europea, il governo cercherà  di far considerare anche lo stato patrimoniale del settore privato, e di quello finanziario in particolare. Poiché su questi fronti l’Italia ha una situazione migliore di altri, potrebbe avere uno sconto sugli obiettivi annuali di rientro. In ogni caso, il 2012 e il 2013 sono previsti con l’economia in recessione, ed è un problema in più. L’Italia chiede all’Europa di rendere flessibili, in base al ciclo economico, le tappe del rientro. Ma la prova resta ardua, anche se le correzioni richieste venissero adottate. Mario Monti, d’altra parte, ha promesso di non appesantire ulteriormente la pressione fiscale. Il governo esclude sia un’imposta patrimonialeuna tantum di grande dimensione sia un prestito forzoso. Bastano, come prelievo patrimoniale, le maggiorazioni delle imposte annuali sulla casa e sul lusso. Come aggredire allora il debito pubblico per far scendere il rapporto debito/Pil?
L’idea prevalente, ancorché niente sia stato ancora deciso, consiste nell’acquisto di partecipazioni azionarie del Ministero dell’Economia da parte della Cassa depositi e prestiti. In prima battuta, lo Stato potrebbe cedere pacchetti azionari fino a 50 miliardi. Sono in corso le valutazioni di società  assai floride come Sace e Fintecna, ma anche di molto altro. Che cosa possono valere oggi le Fs con la loro rete? E quale potrebbe essere il prezzo dell’Anas, ove potesse mettere a pedaggio alcune autostrade oggi gratuite ovvero riprendersi le concessioni in scadenza ovvero ancora allungare le concessioni in vigore facendosi debitamente pagare dai concessionari? A regime, la cifra potrebbe salire allargando lo spettro delle società  pubbliche cedibili. E pure le Regioni e gli enti locali potrebbero approfittarne per dismettere partecipazioni e società  pubbliche locali. Con tali risorse, il Tesoro ritirerebbe dal mercato una quantità  nettamente superiore di titoli di Stato, approfittando del calo delle loro quotazioni. Al tempo stesso, il governo non perderebbe la possibilità  di esercitare un’influenza generale, nell’ambito della sua politica industriale, sulle società  vendute alla Cassa. E un domani, quando i mercati riconoscessero prezzi decenti alle azioni, la stessa Cassa avrebbe l’opportunità  di rivendere quei beni oggi acquisiti che il governo suo primo azionista non reputasse essenziali. Ma questo è il futuro. Oggi, grazie al tesoretto giratole dalla Cassa, il Tesoro inizierebbe a rientrare dall’eccesso di debito pubblico con maggiore tranquillità .
Che cosa significhi rientrare dal debito non sempre è chiaro. Il rapporto debito pubblico/Pil, del quale sempre parliamo, è un rapporto tra grandezze monetarie correnti, mentre le variazioni del Pil, delle quali pure parliamo a proposito della crescita o della recessione, sono un dato percentuale netto, e cioè depurato dall’inflazione. Sulla carta, anche con una crescita reale pari a zero, un debito fermo in valore nominale potrebbe essere fortemente ridotto dalla mera inflazione. Ma è difficile che il debito nominale stia completamente fermo. Dunque un po’ di crescita ci vuole.
Uno Stato capace di pagare i fornitori a 30/60 giorni come esige la Ue aiuterebbe il sistema delle imprese. E sanare il pregresso contrasterebbe la recessione in atto. Di qui l’idea di usare la cancellazione dei vecchi Btp, ottenuta grazie al tesoretto, per avere il margine di emettere i Bot con cui saldare, almeno in parte, i debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni. Il fatto che buona parte di questi debiti sia stata fatta dalle Asl per la spesa sanitaria, dovrebbe indurre le Regioni a cedere il cedibile alla Cassa.
Ma con quali soldi la Cassa pagherà ? La Cassa può attingere ai propri depositi presso il Tesoro, oggi pari a 120 miliardi. Ma a fronte di questi depositi stanno le obbligazioni della Cassa medesima che le Poste collocano presso i risparmiatori. Insomma, c’è un attivo ma anche un passivo. E allora, nel fare le sue acquisizioni, specialmente le prime, la Cassa deve ottenere società  ricche di liquidità  e povere di debiti, come appunto Sace e Fintecna. In tal modo, potrebbe accrescere il proprio patrimonio netto consolidato fino a 10-15 miliardi e utilizzare questa base di capitale aggiuntiva per costruire una ragionevole leva finanziaria. Avrebbe così i 50 miliardi necessari a comprare quello che le potrebbe essere offerto. Naturalmente, sono prevedibili resistenze dalle società  interessate, gelose della propria autonomia. E probabilmente non tutte le attività  comprese in queste società  avrebbero senso sotto il cappello della Cassa. Fincantieri, per esempio, andrebbe riallocata da Fintecna al ministero in attesa di decisioni. Ma il vero problema è politico.
Con un’operazione come quella che abbiamo appena tratteggiato, il profilo della Cassa depositi e prestiti diventerebbe sempre più articolato e il suo ruolo nella economia del Paese sempre più importante e simile a quello della KfW in Germania e della Caisse des Dépà´ts in Francia. Parlare di una nuova Iri, come pure si è fatto tante volte in passato, è fuorviante. A meno di riconoscere che Francia e Germania le loro Iri se le tengono care. Già  oggi la Cassa sostiene il credito alle piccole imprese prestando alle banche, attraverso un apposito fondo, 18 miliardi che può raccogliere a tassi inferiori grazie al suo rating. Con il fondo strategico, la Cassa potrà  acquisire partecipazioni non per fare salvataggi ma per mettere in sicurezza i gioielli della tecnologia o per favorire, giusto per far un esempio, l’aggregazione delle concessionarie autostradali degli enti locali del Nord o le grandi ex municipalizzate. Imprese alle quali manca solo una buona gestione in stile Enel, Eni o Terna per diventare galline dalle uova d’oro.
Con Sace, la Cassa coordinerebbe l’attività  di assicurazione del credito all’esportazione con le altre iniziative per la piccola e media impresa. Con Fintecna, acquisirebbe l’expertise per valorizzare l’immenso ma anche disordinato e confuso patrimonio immobiliare degli enti locali. Che già  cominciano a richiedere consulenze in materia.
Una Cassa con un simile profilo avrebbe bisogno di una governance forte e trasparente per l’oggi e, soprattutto, per il domani. E’ molto importante che il governo e il parlamento stiano attenti a come si muovono e a come parlano. La Cassa — il capolavoro di Giulio Tremonti che sarebbe un guaio rovinare — non fa parte del perimetro della pubblica amministrazione. Sarebbe un grave errore se, nelle future transazioni, la politica non ne rispettasse l’autonomia con il rischio che Eurostat ci costringa a riportare tutto nel perimetro del debito pubblico. A presidio di questa autonomia è essenziale la Banca d’Italia. La Cassa è sottoposta alla vigilanza informativa della banca centrale. Se vorrà  acquisire quelle partecipazioni, è chiaro che non potrà  ottemperare ai requisiti di Basilea 3 che imporrebbero di farlo solo con capitali propri. Come abbiamo visto, la Cassa dovrebbe poter usare anche capitali di debito. Un no del governatore Ignazio Visco, e tutto finirebbe prima di cominciare. D’altra parte, l’occhio della Banca d’Italia aiuterà  la Cassa e la politica migliore a respingere le invasioni di campo della politica peggiore, mai estirpata per sempre.


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