Un teorico ribelle alla gabbia della realtà 

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Praticare la chirurgia dei tagli su Marx – ha scritto Maximilien Rubel – significa effettuare l’ablazione di ciò che nel suo pensiero si oppone a ogni marxismo inquisitorio e a ogni comodo liberalismo. In questo assunto, collocato da Marcello Musto in esergo al suo volume Ripensare Marx e i marxismi (Carocci, pp.373, euro 33), possono essere riassunte le vicende editoriali, filologiche e politiche che hanno visto protagoniste – per oltre un secolo – le pagine parzialmente edite, o del tutto inedite, dell’opera marxiana. Finalmente sottratto alla conoscenza approssimativa di un testo, di cui a lungo si è conosciuto solo il mito ma non la lettera, oggi Marx sembra tornare a parlare in prima persona.
Musto ne ripercorre l’avventurosa genesi alla luce della nuova edizione delle opere complete – la cosiddetta «Mega 2» che prevede la pubblicazione di 114 volumi. Tra i molti Marx che continuano ad essere indispensabili, ne segnala almeno tre. Quello ossessionato dalla miseria economica, dalle tragedie familiari e dalle tumultuose vicende politiche che videro la nascita della Prima internazionale, insomma il vissuto storico che molti anni fa nutrì un’enorme quantità  di biografie e storie politiche. Oggi questi libri è difficile trovarli persino sulle bancarelle dell’usato. 
Musto si sofferma anche sul Marx critico del modo di produzione capitalistico, ricercatore enciclopedico che ne intuì la capacità  di sviluppo a livello mondiale, meglio di qualunque altro studioso della sua epoca. E, infine, c’è il Marx teorico del socialismo che, sopresa, aveva tempestivamente ripudiato la possibilità  di un «socialismo di Stato» propugnata da Lassalle e da Rodbertus. Alla luce di questo schema, che riporta Marx alla sua lettera e scuote la sua immagine anchilosata da un punto di vista, si direbbe, «libertario», Musto ricostruisce la storia delle «ablazioni» del testo originario di Marx, insieme ad una corretta prospettiva sulla sua opera. Così facendo egli ristabilisce le responsabilità  «scientifiche» di Friedrich Engels, co-autore e primo editor di Marx, e non solo dei due volumi inediti del Capitale, diciamo pure le sue intrusioni e incomprensioni praticate sul corpo vivo della lettera marxiana che, in gran parte, il filosofo aveva lasciato in bozze al momento della morte. È a partire dalle responsabilità  di Engels che Musto ricostruisce l’ordito di un giallo editoriale e politico. 
Già  nel 1897 Antonio Labriola scriveva: «Il leggere tutti gli scritti dei fondatori del socialismo scientifico è parso fino ad ora come un privilegio da iniziati». È come la storia della «lettera rubata» di Edgar Allan Poe: tutti ne parlano, nessuno l’ha letta. E così è stato con Marx. Lo scarso interesse, o la vera incoscienza, del partito socialdemocratico tedesco, i conflitti interni, condannarono i suoi scritti all’oblìo. Furono pubblicati manoscritti, frammenti, opere edite parzialmente, o reinventate all’insegna di un determinismo che poco assomigliava al metodo marxiano. Tutto il resto fu messo nei cassetti.
Non diversamente accadde dopo la rivoluzione sovietica quando a Mosca venne progettata l’edizione completa delle opere, un periplo infinito mai concluso e poi travolto dal crollo del Muro. Nel turbine di queste vicende, la lettura marxiana ha resistito alle purghe staliniane, rimbalzando in tutto il mondo nelle lotte operaie, scomponendosi nelle trame dei «marxismi occidentali», orientali, eretici o umanistici, confluendo in percorsi originali come ad esempio quelli dei Grundrisse «scoperti» prima da Rjazanov negli anni Venti, poi nel 1948 quando Roman Rosdolsky incappò in una copia rarissima di quelli che sono stati anche, ma non solo, i materiali preparatori del Capitale. Nei «Lineamenti fondamentali», Vitalij Vygoskij nel 1965 scoprì le potenzialità  inesplorate dell’ultima stagione marxiana: il metodo dell’astrazione reale, della tendenza, il general intellect o l’individuo sociale. Ciò che colpisce in queste vicende è l’approssimarsi ad una verità  che sfugge, ma che lascia dietro di sé tracce ponderose, poi tradotte in tutto il mondo. È stato così per i Grundrisse e, prima, per i Manoscritti economici-filosofici.
Pur incompleto, tradotto male, o occultato, Marx è sempre stato uno e molteplice, pensiero in azione e in conflitto con se stesso, opera in corso di definizione, anche editoriale. Restituirlo, come intende fare Musto, alla sua lettera non significa imprigionarne il pensiero in una filologia, come se la lettera rubata di Poe potesse tornare al suo posto. Ed è proprio questa, in fondo, la «verità » che il «marxismo» – quello «ufficiale», terzinternazionalista da Comintern, oppure quello declinato nei vari comitati centrali «occidentali» e «orientali» – non è mai riuscito a rubare a Marx: l’invenzione di un metodo aperto ad alleanze analitiche e politiche, capace di affermare solo una verità  storica, geneticamente costituita a partire dalle potenzialità  del reale.
Per questa ragione non esiste una sola lettera in Marx, né una sola lettura di Marx, sebbene oggi sia possibile ricostruire il percorso erratico del suo pensiero in volumi curati in maniera impeccabile. La ricostituzione di questo patrimonio permette di spiegare come il marxismo abbia da subito moltiplicato fonti, destinazioni e specificità  del suo messaggio e non possa essere riducibile alla storia di un’opera da mettere in un museo. Il fatto che Marx abbia raramente terminato un libro, dedicandosi all’apertura di nuovi cantieri, esplorando infinite connessioni dalle scienze naturali all’economia politica, dalla matematica alla filosofia, dimostra l’eclatante modernità  di un’opera-mondo, come anche la sua molteplicità  al di là  di ogni perimetro «marxista». Non si spiegherebbero altrimenti le alleanze che, nel corso del Novecento, sono state siglate tra i marxismi e le scienze umane, gli strutturalismi, o le teorie critiche, i postcolonial studies, e soprattutto le lotte operaie, anti-coloniali, quelle per la «soggettività » (il femminismo o il queer, ad esempio).
Ci vorranno anni per completare la «Mega 2», ma anche questa è un’occasione per ribadire il gesto di Marx: dislocare l’analisi del capitalismo, e la necessità  del superamento di questo sistema polimorfo, al di là  di un’unica lettura marxista. Secondo Rubel le disiecta membra dell’opera marxiana ieri hanno autorizzato i deliri stalinisti, e oggi restano esposte alle banalità  del liberalismo: il marxismo come sociologia della globalizzazione. A parte il fatto che c’è sempre la libertà  di opinione, anche quella di dire idiozie, ma questi sono rischi innocui. Ciò che è più importante è che la morte del comunismo in un solo paese, e il suicidio del neo-liberismo, hanno liberato i marxismi da molti equivoci. E tuttavia aspettiamo ancora le prove che dimostrino la loro capacità  di ricavarsi un posto nel mondo per trasformarlo, non per rimpiangere ciò che non è ancora stato.


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