UN ODIOSO BALZELLO

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I professori erano allora apparsi come i salvatori della patria, il loro stile austero come indizio di rigore, i titoli accademici come garanzia di competenza, la moderazione verbale come promessa di “equità ” (parola condivisa che reca il segno dell’egemonia del potere: un tempo si sarebbe preteso uguaglianza e giustizia sociale). 
L’impassibile ferocia di classe, malgrado qualche lacrimuccia pubblica, con cui il governo tecnico ha subito proceduto nell’opera di macelleria sociale (per dirlo con formula abusata) ha presto deluso alcuni di quei sognatori e spinto molti altri a praticare il conflitto sociale. Oggi appare chiaro che i compassati esecutori degli ordini della Banca centrale europea non hanno idea, e/o non vogliono averne, di come si viva nei piani sociali sotto il loro. È probabile che ai più fra i professori mai sia capitato di frequentare una lavoratrice precaria, un operaio di fabbrica, una pensionata povera, un homeless, una bracciante a giornata, un lavoratore immigrato… Sicché non sono in grado di cogliere, per esempio, il valore simbolico – oltre che politico, economico, sociale – dell’odioso balzello aggiuntivo sui permessi di soggiorno che entrerà  in vigore dal 30 gennaio, per effetto di una delle tante norme persecutorie escogitate dal trio Berlusconi-Maroni-Tremonti: una gabella di classe e di casta, discriminatoria, che si aggiunge agli ostacoli, ai ritardi, alle vessazioni inflitti agli immigrati che s’inoltrano nel tunnel della richiesta o del rinnovo del permesso di soggiorno. Un valore simbolico assai pregnante, dato che la tassa aggiuntiva – dagli 80 ai 200 euro – fu pensata da Maroni, con perfidia razzista degna di lui, anche per incrementare i fondi necessari a rimpatriare i migranti. 
Eppure solo tre settimane fa i ministri Cancellieri e Riccardi (della propensione solidale e compassionevole del secondo non dubitiamo) avevano manifestato l’intento di «un’approfondita riflessione e attenta valutazione» dell’iniquo balzello. Che mai sarà  successo nel frattempo? Possiamo immaginarlo: messo alle strette dai ricatti berlusconiani e dalle minacce leghiste, il governo ha preferito per ora soprassedere. 
Si dirà : non è la solidarietà  verso gli “ultimi” che ci si deve aspettare da un governo simile. Ma un po’ di razionale lungimiranza forse sì. Ebbene: in tempi di grave recessione si può infierire a tal punto su quei milioni di lavoratori immigrati a costo basso o infimo che garantiscono servizi e produzione in settori cruciali? Ancora: la più recente indagine Bankitalia sui redditi delle famiglie nel 2010, oltre a dirci che siamo il paese in cui il dieci per cento dei ricchi detiene quasi la metà  della ricchezza, rivela che, se il tasso medio di povertà  si è elevato al 14,4% (immaginate ora, a distanza di più di un anno), la percentuale di poveri supera il 40% fra i cittadini stranieri. Il governo della discontinuità  vuole spingere gli immigrati a tornarsene “a casa loro”? Oppure non gli importa se il paese si trasforma in uno scenario sociale da Grande Depressione?


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