Turchia, processo ai giornalisti anti-governo
ISTANBUL – Un anno fa, il giornalista Nedim Sener stava indagando su una misteriosa rete terroristica che secondo gli inquirenti punta a rovesciare il governo di orientamento islamico al potere in Turchia. Oggi Sener è accusato di far parte di quel complotto ed è in carcere per quella che i gruppi per la difesa dei diritti umani sostengono essere una purga politica contro i contestatori del governo. Sener, che da vent’anni porta alla luce scandali di corruzione nelle alte sfere, è fra i 13 imputati comparsi questa settimana di fronte al giudice a Istanbul per rispondere di accuse legate al favoreggiamento di un’organizzazione terroristica. Fra gli imputati figurano i redattori di un sito web laicista e Ahmet Sik, giornalista che ha scritto che un movimento islamico legato a Fethullah Gà¼len, imam che vive in Pennsylvania, si è infiltrato nelle forze di sicurezza turche. Proprio mentre gli Stati Uniti e l’Europa tessono le lodi della Turchia, presentandola come modello di democrazia islamica per il mondo arabo, i gruppi per la difesa dei diritti umani affermano che la repressione in atto si inserisce in una tendenza inquietante. L’aspetto più preoccupante sono i segnali della volontà del premier Recep Tayyip Erdogan di reprimere la libertà di stampa ricorrendo a intimidazioni, arresti e macchinazioni finanziarie, inclusa la vendita, nel 2008, di un quotidiano e una rete tv a una società legata al genero dello stesso Erdogan. Gli arresti minacciano di offuscare l’immagine del premier, idolatrato in Medio Oriente come un leader forte, capace di tenere testa a Israele e all’Occidente. Sono 97 i giornalisti, editori e distributori in carcere in Turchia, stando al sindacato dei giornalisti turchi, più di quelli incarcerati in Cina. Il governo contesta la cifra e sottolinea che le persone arrestate sono accusate di attività diverse dal giornalismo. Il ministro della Giustizia, Sadullah Ergin, ha accusato i gruppi per i diritti umani di aver creato la falsa impressione che ci siano troppi cronisti in prigione. Mercoledì in tribunale Sener, pallido, ha detto: «In undici mesi non ho avuto la possibilità di dire una sola parola per difendermi. Sono una vittima, nient’altro». La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ricevuto 9mila reclami contro la Turchia per violazioni della libertà di stampa e di espressione nel 2011; nel 2009 erano 6.500. A marzo, Orhan Pamuk, scrittore e premio Nobel turco, è stato multato per l’equivalente di 3mila euro per aver dichiarato a un quotidiano svizzero «abbiamo ucciso 30mila curdi e un milione di armeni». Sener e Sik si sono mostrati spavaldi a marzo, quando i poliziotti sono venuti a casa loro ad arrestarli, di fronte alle telecamere della tv. Il manoscritto non pubblicato di Sik è stato confiscato dalla polizia ma è uscito su internet, scaricato da 20mila utenti. La Rete è diventata l’arma principale contro la censura e più di 15mila siti sono stati bloccati dallo Stato, secondo engelliweb.com, che tiene il conto delle pagine censurate. Per più di due anni, fino allo scorso autunno, YouTube è stata messa al bando perché alcuni video offendevano Mustafa Kemal Atatà¼rk, il fondatore della moderna Turchia. L’organismo di monitoraggio della rete ha chiesto ai siti web di non utilizzare 138 parole, tra cui «animale», «erotico» e «zoo» in inglese e «grasso», «bionda» e «gonna» in turco. Il divieto ha ispirato un concorso online per il racconto migliore con le parole al bando. (© New York Times / La Repubblica Traduzione di Fabio Galimberti)
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