Tregua sui taxi, ma la base contesta

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ROMA — La battaglia dei tassisti è sospesa, fino a quando — oggi — sarà  reso noto il testo del governo sulle liberalizzazioni. Sono tornate a circolare le auto bianche, ma un gruppo di irriducibili (qualche centinaio di tassisti, soprattutto a Roma, Napoli e Palermo) non ha accettato di fermare lo sciopero. Altri si danno malati, per paura di essere considerati crumiri e intimiditi. 
Ieri nuovo incontro a Palazzo Chigi dei 27 rappresentanti sindacali dei tassisti con il segretario generale alla presidenza del Consiglio, Manlio Strano. Responso dei sindacalisti: «Risultato positivo». Con Strano, che non svolge funzioni politiche, i 27 hanno firmato un documento nel quale si afferma che «le proposte avanzate dai sindacati, alcune delle quali indubbiamente ragionevoli, saranno valutate e discusse collegialmente nel Consiglio dei ministri». Strano ha manifestato «apertura» verso le richieste principali dei tassisti: no al cumulo delle licenze nelle mani di un solo soggetto, condivisione delle decisioni sul servizio taxi fra la nuova Autorità  delle reti e i sindaci, in particolare su nuove licenze e barriere territoriali. L’Autorità  dovrebbe avere poteri di vigilanza e non di regolazione e dovrebbe entrare in funzione tra sei mesi. Il governo farà  un decreto sulle liberalizzazioni, ma non si può escludere che su alcuni argomenti utilizzerà  un disegno di legge da portare in Parlamento. Saranno affrontate anche le questioni che riguardano sgravi dell’Iva, malattie professionali, agevolazioni su benzina e assicurazioni. In cambio, i tassisti concedono piena disponibilità  a esaminare aumenti di orario in occasione di eventi speciali, nuove forme di trasporto pubblico come i taxi collettivi, maggiore qualità  del servizio.
A questo punto, i 27 si sono trasferiti al Circo Massimo. Il leader Loreno Bittarelli (Uritaxi) ha riassunto la trattativa, poi ha detto: «Stiamo a vedere che succede. Lo sciopero del 23 è confermato. Ora tornate a lavorare!». Selva di fischi e petardi. Bittarelli: «Ognuno può ammazzarsi come vuole. Il prefetto ha minacciato la precettazione. Continuate a sparare, così non ci ascolteranno né il governo né altri. Siete liberi di decidere, ma quando mi avete seguito non vi ho fatto mai sbagliare!». Bittarelli va via, qualcuno grida: «Ci state vendendo!», «Non abbiamo capito nulla!». E lui: «Frange di facinorosi». Resta in campo l’altro leader, Pietro Marinelli (Ugl). Gli chiedono: «Pietro, cosa avete ceduto?». Lui rispiega punto per punto. Attorno, vola qualche ceffone fra tassista e tassista. I napoletani circondano il loro sindacalista, Ciro Langella, che prova a convincerli: «Io penso che abbiamo vinto, ma non si può dire, sennò Bersani si arrabbia…». I napoletani tornano a casa, bellicosi. Quelli che restano fanno un’altra assemblea. C’è incertezza, diffidenza verso chi ha trattato, timore di mollare prima di un esito certo. L’agitazione, minoritaria, continua. «Montiacci vostri», si legge su un cartello. 
In un vertice di partito a palazzo Grazioli, Berlusconi avrebbe detto che «taxi e farmacie non possono essere vittime sacrificali». E Di Pietro, alla Camera: «Le liberalizzazioni più importanti sono quelle delle energie, delle banche e dei trasporti. Non certo quella dei taxi, liberalizzazione selvaggia dei poveri cristi».


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