Tonino Perna finisce in carcere sottratti 61 milioni alla It Holding

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MILANO – Corsi e ricorsi storici. Solo che questa volta per Tonino Perna, l’imprenditore tessile molisano, sono scattate le manette. Era salito alla ribalta negli anni Ottanta e Novanta con la Pop84 e una linea d’abbigliamento targata Edwige Fenech. La storia finì in un buco da 350 miliardi di lire e con tutto ciò che comporta un fallimento. Ora, per un nuovo crac da 600 milioni di euro, quello della It Holding, è finito in carcere con l’accusa di bancarotta ed evasione fiscale per un danno patrimoniale stimato in oltre 61 milioni di euro. La Guardia di finanza non ci ha pensato due volte a mettere i sigilli ai beni che – direttamente o indirettamente – ritiene di proprietà  di Perna: una villa lussuosa a Palazzo a Mare a Capri che si estende su una superficie di migliaia di metri quadrati con discesa a mare privata (fu la residenza di Mona Bismark), il Blue Way, un Itama di circa 50 piedi, e una serie di appartamenti a Roma, Isernia e ad Arzachena, per un valore stimato di circa 20 milioni di euro. 
Perna era ripartito a fine anni Novanta con la It Holding, una scatola vuota pronta spendere e spandere per comprare e assemblare vari marchi del made in Italy. Il 12 febbraio 2009, tuttavia, anche la It Holding salta e ottiene di usufruire della legge Marzano, dopo essere stata dichiarata insolvente dal tribunale di Isernia. Il passivo si aggira intorno ai 600 milioni di euro e a occuparsi della gestione vengono chiamati dal ministro per le Attività  produttive tre commissari, Stanislao Chimenti, Andrea Ciccoli e Roberto Spada. Nella ricostruzione dei pm, le cose non quadrano fin dall’inizio, cioè dalla quotazione in Borsa del gruppo, avvenuta a novembre del 1997, quando la Pa Investments, la controllante lussemburghese del gruppo, piazza sul mercato 45 milioni di titoli per un controvalore di circa 212 miliardi di lire, assumendo di fatto il ruolo di “cassaforte di famiglia” alla quale «attingere ogni qualvolta fosse stato necessario disporre di una certa liquidità , anche per fini estranei al gruppo aziendale». Perna era riuscito a creare un portafoglio di marchi di tutto rispetto, tra i quali “Gianfranco Ferré”, “Malo”, “Romeo Gigli”, “Just Cavalli”, “Dolce e Gabbana” ed altre. Nel mirino dei pm è finita proprio la compravendita del marchio Ferré, acquistato (nel 2001) prima dalla Pa Investment per 171 milioni di euro e rivenduto un anno dopo alla It Holding per 181 milioni di euro, senza un apparente valido motivo per applicarle un aumento di valore. 
Le indagini hanno poi permesso di individuare una serie di fatti dissipativi del patrimonio societario, «consistiti soprattutto in condotte distrattive poste in essere sia in epoca successiva alla forte liquidità  derivata dalla quotazione in borsa della It Holding sia, più recentemente, in prossimità  della data di dichiarazione dello stato di insolvenza». Perna sperperava la cassa della società  come se fosse stata roba sua e per pagarsi i propri lussi. La Pa Investment sarebbe stata usata per acquistare la villa Capri, intestandola alla società  Il Fortino srl, che attraverso vari passaggi societari fa capo a un “Trust”, denominato The river trust, i cui beneficiari risultano la moglie e i figli di Perna. Dalle indagini è emerso tra l’altro che la Plus it spa, di cui l’imprenditore molisano rivestiva la carica di presidente, nel periodo compreso fra il dicembre 2007 ed il settembre 2008, aveva acquistato dalla società  Wellfit trading Ltd con sede in Hong Kong circa 64mila paia di calzature ad un prezzo gonfiato, notevolmente superiore a quello effettivo, distraendo dalla Plus it oltre un milione di euro. Nel 2008, poi, come niente fosse, Perna si alzò lo stipendio da 400mila a 1,4 milioni di euro.


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