Tasse, Romney paga meno di Obama l’ultima battaglia contro il miliardario

by Editore | 19 Gennaio 2012 8:16

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NEW YORK – Milioni di reddito annuo tassati a un’aliquota “di favore” del 15%, generose donazioni in detrazione d’imposta alla chiesa mormone di cui lui stesso è un leader: che cos’altro nasconde Mitt Romney nel “buco nero” della sua storia fiscale? Il candidato repubblicano, tuttora il superfavorito nella corsa alla nomination per le presidenziali, è sotto il fuoco incrociato di attacchi che provengono sia dai suoi rivali di partito, sia dai democratici. Il suo tallone d’Achille è legato alla storia della sua ricchezza, come finanziere nel gruppo di private equity Bain Capital. Dapprima gli avversari Newt Gingrich, Rick Santorum e Rick Perry lo hanno trafitto con l’accusa di essere stato un “finanziere-avvoltoio”, arricchitosi smembrando aziende e licenziando migliaia di dipendenti. Nelle ultime 48 ore l’offensiva si è spostata sulle sue tasse. Romney non ha fatto nulla per depotenziarla. Anzi, la sua tattica difensiva si è rivelata un disastro: tra reticenze e rinvii, a furia di tener nascosta la propria dichiarazione dei redditi, Romney ha ingigantito la curiosità .
Non si è tirato d’impiccio con la mezza ammissione che in quella dichiarazione «l’aliquota deve situarsi attorno al 15%». È un prelievo bassissimo per un multimilionario, ancorché perfettamente legale: è il trattamento di favore che da molti anni viene offerto ai titolari di capital gain, plusvalenze finanziarie. Lo denunciò l’anno scorso Warren Buffett, secondo uomo più ricco d’America ma di tendenza progressista, quando rivelò di «pagare meno della mia segretaria». Barack Obama ne approfittò per proporre una “Buffett Tax” sui milionari. È una di quelle idee che la destra avversa, mettendoci sopra l’etichetta del «socialismo di Obama, che incita alla lotta di classe». Il guaio per Romney, si scopre, è che la sua avversione non è disinteressata. Se dovesse pagare l’aliquota normale, al di sopra di 380.000 dollari annui scatterebbe il prelievo del 35%. Il risparmio per lui è enorme, lo colloca nelle oligarchie privilegiate, odiate anche nella base repubblicana. 
Romney ha peggiorato le cose con un’altra gaffe clamorosa. Cercando di spiegare perché la maggior parte dei suoi redditi sono plusvalenze finanziarie, ha detto che il rimanente sono stati 374.000 dollari in onorari per conferenze: «Cioè non molto», ha chiosato lui. Lui voleva dire «non molto in proporzione alle mie altre entrate». Quella frase però è risuonata come un’uscita “in stile Regina Maria Antonietta”. In un paese dove il reddito medio non arriva ai 50.000 annui, etichettare come “poca cosa” una somma sette volte superiore è mancanza di gusto, di tatto, e di contatto con la realtà . La questione fiscale non ha finito di creare problemi a Romney. 
Il rinvio nel rendere pubblica la dichiarazione dei redditi – forse lo farà  ad aprile – sembra motivato da altre “grane” potenziali, come le donazioni di molti milioni di dollari alla chiesa mormone, in regime di deducibilità  fiscale. La beneficenza esentasse è una consuetudine diffusa tra gli americani, in questo caso però si tratta di doni a una chiesa in cui Romney ha avuto incarichi gerarchici di alto rango (l’equivalente di vescovo). Temporeggiare non aiuta la sua immagine, però è un calcolo tattico. Romney spera di chiudere la partita della nomination entro questo sabato sera con la primaria della South Carolina. Se incasserà  la terza vittoria su tre primarie, probabilmente i suoi concorrenti finirebbero eliminati anzitempo.

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