Tante authority e poca autorità  Dopo i tagli serve una legge quadro

by Editore | 26 Gennaio 2012 9:53

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E insieme a loro si sposta l’assetto dei poteri, il baricentro delle decisioni. Ora l’ultima frontiera è questa: il trasferimento dell’indirizzo di governo dalle assemblee rappresentative a organi neutrali, privi d’investitura popolare. Insomma, una rivincita della ragione tecnica sulla ragion politica.
Di questo movimento l’esecutivo Monti è certamente alfiere. Il ruolo di supplenza del capo dello Stato, nel vuoto che si è aperto dopo la crisi del IV gabinetto Berlusconi, ne offre a suo modo una conferma. La ritrovata autorità  dei giudici e della Consulta, non foss’altro che per il silenzio subentrato a tre anni di martellamento quotidiano da parte della vecchia maggioranza, aggiunge un’altra prova. Ma la prova provata sta nella nuova stagione delle authority, inaugurata dal governo in carica. E questa stagione può segnare il futuro delle nostre istituzioni, ben più di ogni modifica testuale alla Carta del 1947.
Con quali vitamine è avvenuto il rafforzamento delle authority? Intanto dimezzando il numero dei loro componenti: difatti il decreto salva Italia ha sforbiciato l’Autorità  sulle comunicazioni da 8 membri a 4, quella sui contratti pubblici da 7 a 3, la Commissione sullo sciopero da 9 a 5, e via elencando. Se una cura analoga fosse riservata al Parlamento, otterremmo Camere più efficienti e più autorevoli. In secondo luogo cominciando a segare i rami secchi: è il caso, per esempio, dell’Agenzia di regolazione del settore postale, istituita dal governo precedente. In terzo luogo progettando nuove authority con attribuzioni più larghe d’un oceano: e qui il riferimento è all’Autorità  per i trasporti brevettata dal decreto cresci Italia. Però anche l’Authority sui conti pubblici, prevista dalla riforma costituzionale sul pareggio di bilancio, s’iscrive in questa stessa logica.
Ma l’iniezione più potente è quella inoculata sul corpo delle vecchie authority. Valga per tutti il caso dell’Antitrust, che peraltro ha influenzato — con le «segnalazioni» del 5 gennaio — i contenuti dell’ultima manovra, a testimonianza del suo ruolo ormai centrale. E le nuove competenze? Tutela contro le clausole vessatorie. Difesa delle microimprese. Possibilità  d’impugnare atti delle amministrazioni pubbliche. Parere obbligatorio sui servizi pubblici locali, nonché sui regolamenti del governo in materia di attività  economiche. E via via, l’elenco completo sarebbe più lungo d’un lenzuolo.
Questa stagione della tecnica e dei tecnici può venire assecondata o contrastata. Dipende dagli occhiali che hai sul naso, dal tuo modo di leggere la democrazia. Di certo gli organi arbitrali non ne sono nemici, altrimenti dovremmo abrogare pure la Consulta. E d’altronde la prima Authority (Interstate Commerce Commission) fu battezzata nel lontano 1887. Ma per non procedere a casaccio è d’obbligo osservare tre precise condizioni. Primo: razionalizzare l’esistente. Eliminando per esempio l’Aran (Agenzia per la contrattazione nel pubblico impiego) o la Civit (che vigila sulla trasparenza dell’amministrazione pubblica) o l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, senza eguali al mondo. Secondo: districare il groviglio di competenze e di poteri. Terzo: sottrarre i criteri di scelta delle authority alla lottizzazione fra i partiti, che fin qui ne ha appannato l’indipendenza. Serve insomma una legge quadro, serve un disegno complessivo. In caso contrario resteremo un Paese senza autorità  ma con troppe authority.

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