Sull’isola arrivano le mareggiate “Se la Concordia si inabissa disastro ecologico inimmaginabile”
ISOLA DEL GIGLIO – C’è un nuovo «palazzo», giallo e nero, proprio davanti al porto. È il pontone arrivato da Livorno, sul quale ci sono le pompe e tutti gli attrezzi che svuoteranno – si spera – le cisterne della Costa Concordia. L’allarme è alto, perché oggi arriverà un forte vento di libeccio e domani il maestrale alzerà onde di due metri e mezzo. Il mare sembra una cartolina ma bastano le correnti sotterranee a bloccare, alle 7 del mattino, tutte le operazioni previste sulla nave. Si fermano gli uomini della Marina che dovevano aprire altri tre varchi, si bloccano i Vigili del fuoco alla ricerca delle vittime. La nave si è spostata, ruotando di un metro e mezzo, verso un fondale profondo dai 50 ai 90 metri. «Le mareggiate – annuncia in Parlamento il ministro dell’Ambiente Corrado Clini – possono provocare l’inabissamento. Ci sono 2.380 metri cubi di combustibile e 42 metri cubi di lubrificante che possono provocare un disastro inimmaginabile». Dall’Olanda sono arrivati cinque camion di macchine e attrezzi che ora sono sul pontone. Si lavorerà con la tecnica chiamata hot tapping. «Infiliamo nei serbatoi – dice Massimiliano Iguera, socio italiano della Smit Salvage – una serpentina che riscalda il carburante per renderlo fluido e lo facciamo uscire da un altro buco, dotato di valvole di sicurezza. Il combustibile raccolto verrà poi versato in una nave cisterna». Non si sa però quando potrà iniziare lo svuotamento. Vento e onde possono bloccare tutto fino a sabato o domenica. «Lavoreremo per qualche settimana», si limita a dire l’uomo della società olandese ingaggiata da Costa Crociere per svuotare i serbatoi. Sul pontone c’è anche una grande gru in grado di calare lamiere per rattoppare, se necessario, i buchi della nave. In realtà la Smit Salvage ha presentato un programma che prevede, per ora, solo l’intervento sui quattordici serbatoi che sono a contatto con lo scafo, «con una previsione di lavoro di 28 giorni».
«Ma noi abbiamo chiesto – racconta Luigi Alcaro, biologo marino che lavora per l’Ispra, l’istituto di ricerca del ministero dell’Ambiente – di intervenire in modo diverso. Ci sono altri dieci serbatoi, all’interno della nave. Non si può dare priorità solo a quelli a contatto con lo scafo. Bisogna invece cercare subito l’olio pesante – ce ne sono 1.800 tonnellate contro le 400 di gasolio – che se fosse sversato a mare provocherebbe un inquinamento più forte. E dobbiamo stabilire subito, nel contratto, cosa si debba intendere per “bonifica” dei serbatoi. Nel 1991 la Haven è affondata davanti ad Arenzano. Fu “bonificata” per un anno intero e nel 2008 si è scoperto che conteneva ancora tonnellate di olio che trafilavano dallo scafo sommerso. Fu dichiarata un’emergenza nazionale e si spesero ancora milioni di euro. A fare i lavori era anche allora la Smit Salvage». Il ministero ha già quattro navi antinquinamento sul posto, e un’altra è in arrivo. Giorgio Botti, capitano di lungo corso, lavora per Labromare, che fa parte di Castalia, il consorzio che ha in appalto dall’Ambiente il disinquinamento dei mari. «Usiamo – racconta – il sistema Skimmer: le nostre navi sono dotate di dischi che attirano il petrolio e poi lo riversano nelle bettoline. Con i nostri battelli, in condizioni ottimali, riusciamo a raccogliere 80 metri cubi di petrolio all’ora».
I laser misurano anche i più piccoli spostamenti della Concordia, il suo inabissamento sta diventando un vero incubo. «L’ideale – dice Luigi Alcaro – è che la nave rimanga dove è ora. In caso di caduta nel mare profondo, si possono pensare diverse soluzioni». E qui arriva una sorpresa. «Se la nave si spacca assieme a tutti i serbatoi – dice il ricercatore Ispra – ci sarà un fortissimo rilascio di combustibile, con un inquinamento acuto. Ma potremmo intervenire e bonificare in poche settimane, un tempo brevissimo». La seconda ipotesi è che solo una parte delle cisterne si spacchino. «In questo caso l’olio si diffonde negli alloggi e nelle altre parti della nave e per almeno un anno dovremo aspettare il suo emergere in superficie». Nel terzo caso c’è «lo scenario peggiore». «La nave si inabissa e non si rompe. Piano piano il petrolio riesce comunque ad uscire e noi dovremo lavorare con tempi lunghissimi. Faccio l’esempio della Sea Diamond. Anche quella era una nave da crociera, affondata nel 2007 a Santorini. Si è fatto un recupero subacqueo ma per tre anni interi, fino all’anno scorso, si è dovuto restare sul luogo dell’inquinamento, perché ogni giorno risalivano almeno 30 chilogrammi di combustibile».
Si guarda il cielo per vedere i primi segnali di perturbazione. Si spera che il pontone possa infilare i suoi tubi nella nave, aspirando e portando al sicuro i veleni. Nell’ottobre scorso 350 tonnellate di petrolio hanno inquinato 30 chilometri di costa in Nuova Zelanda. Le tonnellate nella pancia della Concordia sono 2.380.
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