Su energia, trasporti e poste il governo prova ad accelerare il piano entro due settimane

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ROMA – Via privilegi, storture, lacciuoli burocratici, che ingessano il mercato e tengono alti i prezzi finali di beni come energia, servizi postali assicurativi e bancari, trasporti e servizi pubblici. Mario Monti va avanti sulle liberalizzazioni per «sbloccare il Paese e far saltare i colli di bottiglia che lo rendono più lento degli altri». Promette che le misure saranno «equilibrate, pragmatiche, ma non timide» e toccheranno vari settori perché «un regime di libera concorrenza è più equo». E nel mirino non ci sono solo ordini professionali, negozi, tassisti e farmacie, ma servizi essenziali, e molto pubblico, a cominciare dalle municipalizzate. Non c’è settore che non venga toccato. Banche, assicurazioni, Poste, i mercati di gas e elettricità , i trasporti pubblici locali e non, le autostrade, gli areoporti. Settori dove o la concorrenza non è mai entrata, come nel trasporto locale o dove è entrata, ma non è riuscita a scalfire vecchie resistenze, inefficienze, interessi precostituiti, tanto che i prezzi, come più volte denunciato dai consumatori, a volte più che scendere sono saliti. C’è dunque bisogno di una cura d’urto ed è questa che il governo si accinge a preparare. 
E se è pur vero che non ci sono dettagli sulle misure in preparazione, fresche di stampa sono le proposte di riforma presentate dall’Antitrust nei giorni scorsi al Parlamento. Una bozza di partenza, costruita negli anni proprio sulle denunce di concorrenza sleale, distorsione delle regole di mercato ecc. E molti capitoli riguardano settori che alla concorrenza non si sono mai aperti. 
Nei servizi pubblici, ad esempio, l’Antitrust propone una regola che bloccherebbe ogni lievitazione arbitraria dei prezzi. Eccola: se un ente pubblico impone un nuovo obbligo burocratico (la certificazione energetica per citarne uno), chi lo subisce ha la possibilità  di detrarlo dalle tasse, dunque dalle entrate dell’ente. 
Il governo, che si sta occupando delle liberalizzazioni fin dal suo insediamento, sta dunque lavorando su un decreto ad hoc, con un approccio di riforma organico, per poi intervenire con provvedimenti nei singoli settori. Di certo Monti vuole fare in fretta e per una ragione: arrivare al Consiglio europeo di Bruxelles in programma il 30 gennaio con il pacchetto di misure già  approvato. Tempi brevi, dunque, tanto che la prossima settimana sarà  dedicata proprio a un confronto serrato con i partiti, prima di far approdare il decreto in Consiglio dei ministri, il 20. 
L’obiettivo, mancato più volte dai governi precedenti per la resistenza delle categorie o per non toccare interessi consolidati, è portare più concorrenza e aprire il mercato, andando a colpire le rendite di posizione. E le resistenze, puntuali, tornano. Sul piede di guerra i commercianti, soprattutto i piccoli che vedono le liberalizzazioni nel settore come un regalo alla grande distribuzione, tanto che Confesercenti prevede che nei prossimi tre anni «chiuderanno 80mila esercizi commerciali e si perderanno 240mila posti di lavoro». Tornano a farsi sentire anche i tassisti, che promettono battaglia se le promesse di tenerli fuori dalle liberalizzazioni, non venissero mantenute. 
Intanto, un campanello d’allarme arriva sul fronte della burocrazia. E, in particolare, sui tempi necessari ad avviare un’impresa. L’Italia, in questo senso, fa peggio del Terzo mondo: Ruanda, Zambia, Ghana e Namibia hanno più attrattiva per chi deve aprire un’azienda, mentre i costi in Italia pesano come un macigno: circa lo 0,5% annuo del Pil, quasi 10 miliardi di euro. Un balzello inutile.


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