Stretta ai bilanci, intesa nella Ue Juncker: Italia tornata alla ragione

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BRUXELLES – I Grandi d’Europa trovano una intesa sul “fiscal compact”, le nuove norme di rigore sui conti pubblici. Un risultato che fa dire a Monti: «Siamo molto soddisfatti. Si è conclusa una pagina importante per la stabilità  della zona euro». Con un compromesso si superano i niet di quanti, a cominciare dalla Polonia, reclamavano più voce in capitolo: per le questioni strategiche, anche i Paesi che non hanno adottato la moneta unica saranno chiamati al tavolo, specie se si parla di competitività  e crescita. Alla fine è un patto a 25: Londra resta fuori e, a sorpresa, non firma neppure Praga, ma non è un no definitivo. C’è anche una novità : un team di esperti Ue sarà  inviato nei paesi dove i giovani a spasso superano la media Ue – sono 8 tra cui l’Italia – per lavorare con i governi e le parti sociali alla creazione di nuova occupazione. È una proposta del presidente della Commissione Barroso. È un segnale, anche se quattrini nuovi non ce ne sono: verranno infatti utilizzati fondi europei non spesi per complessivi 82 miliardi di euro di cui 8 per l’Italia. Resta il nodo della Grecia: Sarkozy giura che ci sono «buone speranze» di una intesa a giorni. Non si è parlato invece del rafforzamento del fondo salva-stati – Esm o “firewall” – che entrerà  in vigore a luglio, ma l’ok al fiscal compact era un prerequisito indispensabile per affrontare anche questo argomento, cui la Germania è allergica. L’Italia riceve gli ormai consueti apprezzamenti dei partner: «La politica italiana ha ritrovato la via della ragione», dichiara Jean Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo.
Si chiude così il summit straordinario dei capi di stato e di governo tutto dedicato all’emergenza-recessione. Monti è soddisfatto. Nel patto che disciplina il bilancio l’Italia riesce ad evitare brutte sorprese sul debito, facendo inserire quei «fattori rilevanti» – risparmio privato, debito privato, riforma delle pensioni – che attenuano l’impegno a rientrare nel tetto del 60% del Pil. Incassa un successo diplomatico sul fronte della crescita: non solo dichiarazioni ma l’impegno dei partner a delineare entro marzo piani concreti per rilanciare il Pil e l’occupazione. Lavora alacremente anche al compromesso per i paesi non euro. 
Le tv a circuito chiuso riprendono il premier mentre arriva al palazzo Justus Lipsius accanto a Merkel e Sarkozy, dopo un incontro riservatissimo a tre. Il trio, sorridente e disteso, diventa l’immagine-simbolo del vertice: in sala stampa i giornalisti già  coniano un nuovo acronimo – Merkonti – per sintetizzare che a guidare l’Europa di oggi sono Berlino, Parigi e anche Roma. In realtà  il pre-vertice è davvero brevissimo. Non è la trilaterale che avrebbe dovuto tenersi nelle settimane scorse a Roma (slittata a febbraio), ma è pur sempre la conferma che l’Italia è entrata nella cabina di regia europea.
Chiuso il fiscal compact, considerato un mezzo per ottenere da Berlino interventi sulla crescita, ora i Grandi possono dedicarsi ad altro: al firewall, anzitutto, insieme alle misure per risollevare il Pil e l’occupazione. Bisogna dare ai mercati segnali concreti che vanno oltre all’impegno di rigore. Alla riunione non a caso partecipa anche il presidente della Bce, Mario Draghi, tra i primi ad aver caldeggiato il via libera al fiscal compact. L’Eurotower – ecco una importante novità  – ha quasi azzerato gli acquisti di titoli di stato dei paesi deboli. Ora reclama il rafforzamento reale, con risorse aggiuntive di peso, del fondo salva-stati.


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