Stipendi, i paletti dei parlamentari

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ROMA — I presidenti di Camera e Senato hanno concordato una linea comune dopo aver letto sulle rassegne stampa del mattino i risultati — comunque «parziali, provvisori e insufficienti», hanno sottolineato entrambi — della commissione Giovannini (Istat) incaricata lo scorso 15 luglio dal governo Berlusconi di parametrare i costi della politica italiana a quelli degli altri Paesi della Ue. Gianfranco Fini e Renato Schifani hanno reagito con leggera irritazione nei confronti del governo Monti che ha ereditato, e di fatto portato a termine bruciando i tempi previsti, l’iniziativa voluta a suo tempo da Giulio Tremonti.
In realtà , ha fatto notare una fonte del governo, il «non risultato» prodotto dalla commissione Giovannini adesso rispedisce la palla nel campo del Parlamento: per cui Camera e Senato, che hanno legittimamente rivendicato la loro autonomia decisionale, per il principio dell’interna corporis, ora si trovano a dover decidere l’entità  del taglio dei costi della politica. E la scelta, per l’impegno preso da Fini e Schifani a metà  dicembre, dovrà  arrivare entro il 31 gennaio, dopo che nell’ultima manovra è stato approvato un emendamento che ricolloca — dal governo al Parlamento — il compito di agire su questo tema una volta acquisito il rapporto Giovannini.
Fini e Schifani, che pure a dicembre avevano concluso il non facile passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo anche per le pensioni dei parlamentari, avrebbero preferito un percorso istituzionale e più rigoroso. Il presidente del Senato, in particolare, ha lamentato il metodo con cui il governo ha reso pubblico il rapporto Giovannini «provvisoriamente acquisito dal sito del Dipartimento della funzione pubblica in assenza di una tempestiva e opportuna trasmissione ufficiale alla presidenza del Senato». Invece la presidenza della Camera, che ha ricevuto la relazione lunedì, è entrata nel merito del rapporto e ha fatto due conti: tanto per smentire i titoli secondo i quali i parlamentari italiani sarebbero i più pagati in Europa. Per la Camera, infatti, vanno considerati i 5 mila euro netti percepiti per 12 mensilità  dai deputati e non gli 11.283,28 euro lordi comprensivi delle ritenute previdenziali, fiscali e assistenziali: così ragionando, precisa l’ufficio stampa di Montecitorio, «l’ammontare netto dell’indennità  parlamentare erogato ai nostri deputati risulta inferiore rispetto a quello percepito dai componenti di altri Parlamenti presi a riferimento». E il segretario generale del Senato, per incarico di Schifani, ha pure invitato «tutti gli utilizzatori» delle cifre fornite dalla commissione Giovannini «a leggere attentamente le note esplicative, sconsigliando ai mezzi di comunicazione la diffusione di dati senza queste ultime». Schifani ha anche chiesto ai capigruppo di promuovere «momenti di dibattito all’interno dei rispettivi gruppi trasmettendo, eventualmente, le note di sintesi». E ha fatto sapere che la presidenza del Senato procederà  con «cautela e responsabilità » per non intaccare «il rispetto che si deve al Parlamento». 
Una linea, questa, che è già  stata sposata dai partiti. Il primo a reagire è Pier Luigi Bersani: «Le cose vanno cambiate ma non indicando il parlamentare come la causa di tutti i mali di questo Paese… Se vogliamo ridurre i costi tornando al Podestà …». Osvaldo Napoli (Pdl) concorda: «Il populismo e la demagogia più truculenta hanno portato nel Paese un’ondata antiparlamentarista con la quale tutti dobbiamo fare i conti».
Ma ora i questori della Camera sono pronti a mettere sul piatto la proposta già  avanzata a marzo del 2011: «Dopo aver risolto l’anomalia del vitalizi — conferma Gabriele Albonetti (Pd) — l’orientamento è quello di affrontare il nodo dei contributi forfettari per i collaboratori dei parlamentari». Passando dal modello italiano, con i fondi per i portaborse elargiti comunque ai deputati attraverso il gruppo, a quello europeo che prevede regolari pagamenti da parte delle amministrazioni dei diversi parlamenti.


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