by Editore | 22 Gennaio 2012 11:06
Pubblicato nel 1976 da Einaudi, Il sorriso dell’ignoto marinaio recava in copertina la riproduzione del dipinto di Antonello da Messina. Enigmatico, allusivo, consapevole, ironico e forse sarcastico, malinconico pur nell’eco di una avvertita soddisfazione, il ritratto di mano di Antonello che nel Sorriso viene donato al barone Mandralisca di Cefalù (oggi è proprio a Cefalù, fondazione Mandralisca: Cavalcaselle lo vide nel 1860, l’anno in cui è ambientato il romanzo), era davvero – richiamo dalla copertina al libro e dal libro alla copertina – una bella sigla dell’arte di Consolo, nel suo tratto antropologico: siciliano e mediterraneo, ma con l’apertura che si deve alle correnti della modernità . La sintesi, nelle parole di Consolo: «Tutta l’espressione di quel volto era fissata, per sempre, nell’increspatura sottile, mobile, fuggevole dell’ironia, velo sublime d’aspro pudore con cui gli esseri intelligenti coprono la pietà ». Da basi di ragione e di sentimento, la lingua di Consolo si è trovata a un incrocio stretto con la storia: scontenta che la storia (lo scopo è sempre «conoscere com’è la storia che vorticando dal profondo viene ») fosse a quel punto per la sua terra e i suoi individui, ma pronta a ribaltare questa debolezza in una forza, fino a sfiorare la costa dell’espressionismo, irradiata dal sole di Gadda (in una nota scritta nel ventennale del Sorriso , Consolo si vedeva posto «sotto la lunga ombra verghiana, nel filone dei più recenti sperimentatori, fra cui spiccavano Gadda e Pasolini»). Ora: nell’espressionismo può celarsi una maniera, un compiacimento di troppo. E sarà capitato anche in qualche pagina di Consolo. Ma in lui, più spesso, l’espressionismo diventava una versione del contorcimento dialettico che o prende le vie di una sottigliezza argomentativa fino all’estenuazione e magari alla verità (come nel maestro Sciascia) o le vie di una sintassi e soprattutto di un lessico che mostra tutta la veemenza della lotta tra le parole e la storia. In Consolo, quelle che sembrano inflessioni dialettali sono forse il recupero archeologico di materiali sperduti, da riusare dentro un contesto del tutto mutato rispetto all’antico di cui serbano la polvere. Sempre nella Nota dell’autore, vent’anni dopo , per la ristampa del Sorriso , si legge: «”Antigattopardo” fu detto Il sorriso , con riferimento alla più vicina e ingombrante cifra, ma per me il suo linguaggio e la sua struttura volevano indicare il superamento in senso etico, estetico, attraverso mimesi, parodia, fratture, spezzature, oltranze immaginative, dei romanzi d’intreccio dispiegati e dominati dall’autore, di tutti i linguaggi logici, illuministici, che, nella loro limpida, serena geometrizzazione, escludevano le “voci” dei margini». Così le pagine di Consolo, anche quando più aperte, sempre si arroventano per indignazione verso viltà ed eroismi del nostro presente: come in Lo Spasimo di Palermo (del 1998) che forse esige una lettura più allegoricamente feroce che letterale: il suo linguaggio convulso si scardinerebbe infine tirando giù il velo e mostrando come l’infezione sia nella storia o nel tessuto civile, prima che nella mera cronaca.
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