Siria: una Libia2 s’avvicina
Aumenta la pressione sulla Siria. Dopo la «road map», proposta (e imposta) domenica da Qatar e Arabia saudita e approvata dalla Lega araba, l’Unione europea ieri ha varato nuove pesanti sanzioni contro Bashar Assad e i suoi comandanti militari, esprimendo pieno sostegno alla linea dura dell’organizzazione panaraba. La reazione siriana è stata immediata. Damasco ha respinto, giudicandolo «una flagrante violazione negli affari interni», il nuovo piano della Lega araba che prevede l’uscita di scena del presidente Assad, il passaggio dei poteri al suo vice e la formazione di un governo di unità nazionale che dovrà organizzare le elezioni legislative e presideziali.
Il secco «no» giunto da Damasco era scontato perché il piano di fatto stabilisce le tappe della fine del regime. Nel frattempo si fanno più intensi gli attacchi armati dei militari disertori che fanno capo al cosiddetto “Esercito libero siriano” (con base in Turchia). Ieri cinque soldati governativi sono stati uccisi vicino Homs. Le opposizioni riferiscono di 19 civili uccisi durante proteste – tre a Sahen a Idleb, altri tre a Homs, due a Saida e due a Hama – e di 150 mila persone che hanno partecipato ai funerali di 12 vittime del fuoco delle forze governative. L’agenzia di stampa ufficiale Sana da parte sua riporta che un generale e un tenente sono stati uccisi in un agguato a Rankus (Damasco) mentre 11 passeggeri di un autobus sono morti in un attacco con razzi compiuto ad Ashira (Homs).
Bashar Assad ribadisce che non si farà da parte. Ma il suo «no» al piano arabo non fermerà i paesi del Golfo che domenica alla Lega araba hanno ottenuto anche il pieno ricorso all’Onu escluso sino a due giorni fa da Algeria, Iraq, Egitto, Sudan e dallo stesso segretario generale, Nabil el Arabi. La bozza di risoluzione prevedeva inizialmente la proroga di un mese della missione degli osservatori in Siria e il suo rafforzamento da 165 monitors a 300 (addestrati con l’aiuto dell’Onu). Poi, durante la serata, si è fatta più forte la pressione di Qatar e Arabia saudita (che ha anche annunciato il ritiro dei suoi osservatori). Il rappresentante del Qatar, Ahmad ben al Thani, ha affermato che le alternative per la Siria «sono soltanto due»: forza militare «di pace» araba o Consiglio di sicurezza dell’Onu. Schiacciato tra le posizioni contrapposte, il segretario della Lega araba el Arabi ha perciò dovuto presentare un compromesso: proroga della missione degli osservatori e collaborazione piena ed attiva con l’Onu. Di fatto siamo ad un passo dal ricorso al Consiglio di sicurezza.
La partita giocata alla Lega araba evidenzia che la crisi siriana rientra sempre di più nello scontro in atto nella regione tra l’Iran sciita, stretto alleato di Damasco, e i regnanti sunniti del Golfo. Responsabili in casa propria di pesanti violazioni dei diritti umani e politici, i petro-monarchi non hanno certo a cuore la libertà e i diritti dei siriani e neppure le migliaia di morti che avrebbe fatto la repressione ordinata dal regime di Assad. Piuttosto Doha e Riyadh vedono nella caduta del regime siriano il modo per isolare il nemico iraniano già sotto pressione internazionale a causa del suo programma nucleare.
Alle Nazioni unite la Siria conta sul sostegno della Russia. I rapporti tra i due paesi rimangono stretti. Mosca e Damasco in questi giorni hanno firmato un accordo per la fornitura di 36 aerei Yakovlev-130 russi per l’addestramento dei piloti di caccia. Tuttavia le pressioni su Mosca sono destinate a crescere mentre la Turchia si è detta pronta a collaborare con l’Onu. «Se una tragedia umanitaria ha luogo proprio sotto i nostri occhi, allora è l’Onu che deve agire e noi siamo pronti a collaborare», ha annunciato domenica il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu che oggi si recherà in Russia. Ankara – che già ospita il comando dei disertori del cosiddeto “Esercito libero siriano” (Els) – è tra i paesi che più spingono per un intervento militare, mascherato da «iniziativa umanitaria», e da tempo lascia intendere di essere pronta ad attuare una «zona di interdizione al volo» in Siria per proteggere i civili, come la «no-fly zone» che in Libia diede luce verde ai bombardamenti della Nato e dei «volenterosi» a sostegno dei ribelli anti-Gheddafi.
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