Si riforma l’asse tra Silvio e Bossi “Se aiuti Nicola, si vota a giugno”

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ROMA – «Cosentino noi te lo salviamo ma in cambio vogliamo le elezioni a giugno». Può suonare brutale ma è questa la sostanza dell’accordo che hanno perfezionato nei giorni scorsi Berlusconi e Bossi. Un’intesa rispettata alla lettera dal capo del Carroccio – anche a prezzo di una rivolta tra la base – che si aspetta ora dal Cavaliere prove tangibili di coerenza. Del patto a due si parla da qualche giorno nelle segrete stanze del Pdl e qualche parlamentare ne è venuto a conoscenza. Sono tre settimane che Denis Verdini, insieme ad altri, ha iniziato il pressing su Berlusconi per convincerlo ad incontrare Bossi. Un faccia a faccia che, alla fine, c’è stato lunedì scorso a Milano, ponendo le basi per la successiva intesa che ha portato Cosentino in salvo. Nella trattativa sono entrate molte altre cose. A partire dalle amministrative al Nord per arrivare, appunto, a una ricucitura dell’asse strategico tra Pdl e Carroccio. E alla fine del governo Monti in primavera. Il Cavaliere è di nuovo orientato al voto anticipato e starebbe valutando anche la possibilità  di una “regionalizzazione” del partito, anche per difendersi meglio dalla competizione interna con la Lega al Nord. 
Il punto di svolta della giornata di ieri è stato fotografato da Altero Matteoli, esultante insieme a tutta l’area ex An e ai forzisti del Nord, che temevano per la linea filo-Udc del segretario Alfano: «Il voto su Cosentino ha un significato prettamente politico: esiste tuttora una maggioranza Pdl-Lega». È proprio questo che, d’altra parte, preoccupa il presidente del Consiglio. Ieri il passa parola tra i ministri ha portato l’intero governo a disertare in massa l’aula durante la seduta salva-Cosentino. Un modo per tenersi fuori dalle dispute ma anche per dissociare la propria immagine da quella di una “casta” che salva un suo membro inquisito per reati gravi. Ma a palazzo Chigi il voto è stato analizzato attentamente e le possibili conseguenze sul futuro dell’esecutivo hanno fatto scattare l’allarme rosso tra gli uomini di Monti. «Temiamo ora – ragiona un membro del governo – che il Pdl abbandoni i toni moderati e si faccia trascinare dalla Lega nel no alle liberalizzazioni o indulga in posizioni demagogiche sul tema dell’immigrazione». E dire che Monti, nel corso dell’informativa ieri mattina alla Camera sui vertici europei, aveva confidato ai suoi di aver apprezzato l’intervento di Franco Frattini per la sua «moderazione» e il suo «europeismo». Tutto cancellato dal voto su Cosentino, che ha spostato nuovamente il baricentro del Pdl verso le posizioni della Lega. Con il rischio che, passata l’emergenza spread, Berlusconi trovi un pretesto per far saltare tutto e andare alle elezioni. «Il ritorno dell’asse del Nord – sospira un cattolico Pdl – è anche la sconfitta della linea perseguita da Angelino Alfano, che aveva puntato le sue carte sulla ricostituzione di un’area moderata vasta con l’unione delle forze legate al Ppe, dal noi all’Udc». In fondo lo ammette anche Denis Verdini quando di vanta della «vittoria politica del Pdl» con il voto su Cosentino. «Abbiamo dimostrato di tenere – ragiona il coordinatore del Pdl – contro chi provava a spolparci. Il voto è anche un no allo sfascio del partito». Proprio Verdini è tornato al suo lavoro di “persuasione” degli indecisi. Lo dimostravano gli abbracci ieri in aula del Pdl, quasi più di quelli ricevuti dallo stesso Cosentino. «Hai fatto un’altra volta un miracolo», gli l’ha sussurrato in un orecchio l’ex responsabile Luciano Sardelli salutandolo in Transatlantico. 
Ma l’allarme rosso è risuonato anche nel Pd. Bersani percepisce infatti il rischio che il discredito popolare legato al voto di ieri possa contagiare tutti in maniera indiscriminata. Per questo anche i democratici stanno meditando di alzare il livello delle loro richieste al governo, in modo da distinguersi agli occhi degli elettori. E non lasciare campo libero a Vendola e Di Pietro.


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