Se anche Youssou N’ Dour vuole scendere in campo
Se la politica può essere un’arte, perché un artista non può essere un politico? Ma certo che può, risponde dalla storia un possente coro greco di poeti, drammaturghi, cantanti, compositori, rapper, comici, attori, romanzieri, fino al grande senegalese Youssou N’Dour che si candida alla guida della repubblica africana. Da oltre un paio di millenni, da quando Aristotele cercò di definire l’amministrazione della cosa pubblica anche come una ricerca di pragmatica bellezza, la tentazione – o la vocazione – di trasportare talento e successo artistici nei palazzi del governo è stata per molti irresistibile. Poiché l’arte, in tutte le sue forme, è principalmente la capacità di comunicare con il pubblico, e la politica è prima di tutto comunicazione di idee e sentimenti, la transizione fra il palcoscenico e le piazze appare naturale, anche senza arrivare alla tragedia contemporanea della “politica spettacolo” incendiata dalla televisione.
Ci sono, nella storia recente, esempi folgoranti di successo nel passaggio. Ronnie il guitto che si esibiva nella Hollywood di serie B divenne Reagan il venerabile Presidente, mentre, su un livello intellettualmente più sostanzioso, Và¡clav Havel è stato il drammaturgo che ha scritto di proprio pugno il copione della resurrezione Ceca. Nella zona grigia fra arte e politica, si avventurò anche Orson Wells, il genio del Citizen Kane, a lungo attratto dalla voglia di sfidare il senatore Joe McCarthy e scalzarlo dal seggio che sfruttava per la sua tragica “caccia alle streghe” rosse.
Ci sono nazioni, e culture, nelle quali la musica e la poesia appaiono come una alternativa spirituale e morale alla devastazione della politica politicante. Il Brasile ha visto Gilberto Gil, favoloso interprete della musica afro-americana, elevato dal presidente Lula al ministero della Cultura, dove aumentò gli investimenti pubblici del 50%, convinto che con la cultura si possa, oltre che crescere, anche mangiare. La sciagurata e derelitta Haiti si è affidata ora a “Sweet Mickey”, il nome di scena di Michel Martelly, voce suprema del “Compas”, la musica creola che lui eseguiva accompagnandola con monologhi e gag di satira politica.
Il rischio per gli artisti trasmigrati in politica è sempre, e naturalmente, quello di scambiare il proprio personaggio per la realtà . Si può essere inarrestabili giustizieri sullo schermo senza poi riuscire a terminare i mostruosi problemi di bilancio pubblico della California, come Arnold Schwarzenegger, ora mestamente tornato agli effetti speciali e pure senza la moglie, Maria Shriver, che ha “terminated” il matrimonio. Oppure si può trovare la parte troppo dura, anche essendo grandi attori come Gregory Peck che prese in seria considerazione la possibilità di “correre” contro l’ex collega Ronald Reagan nel 1980, per il quale nutriva il duplice disprezzo del progressista e dell’attore di categoria superiore.
Più cerebrale, e meno inquinata dalla popolarità che gonfia l’ipertrofica vanità e l’autoreferenzialità di attori, comici ed entertainer, è la musa della Poesia che pure vede Michael Higgins, il poeta (e presidente di un club calcistico) da qualche mese presidente della Repubblica d’Irlanda. La stessa musa che sospinse Ibrahim Rugova, il “Presidente Poeta” dall’immancabile sciarpina di seta e celebre per i sassi di varie dimensioni che regalava ai visitatori, alla guida del Kosovo indipendente.
Rapper neri americani sono stati convinti a partecipare e vincere seggi nelle assemblee comunali o di Stati, come a Oakland in California, con modesti risultati, di fronte alla difficoltà di rimare tasse, bilanci, servizi pubblici, assai più ardua delle allitterazioni e delle rime nei loro pezzi, ma il passaggio dallo spettacolo alle aule sorde e grigie riserva a volte sorprese. Lo scalmanato comico satirico americano Al Franken, superprogressista divenuto a sorpresa senatore eletto nel Minnesota, si è rivelato, nei suoi primi quattro anni sotto la cupola del Campidoglio americano, uno dei più seri, ragionevoli e diligenti parlamentari.
Tra grandi illusioni e variabili risultati, la reciproca attrazione fra politica e arte è purtroppo e spesso una strada a doppio senso di marcia che trasforma anche politici in guitti da avanspettacolo, ma è sicuramente destinata a continuare, vista la devastante disistima popolare che in tutte le nazioni circonda i professionisti delle elezioni. Nuovi e ancora ignoti artisti saranno spinti dalla loro creatività , ed eletti dall’adorazione del pubblico, possibilmente senza affidarsi ad apparenze appetitose per farsi eleggere, come la indimenticata Ilona Staller, in arte – appunto – Cicciolina o altre sue colleghe italiane di più recente elezione e forme più fresche. A loro rischio e pericolo dimenticheranno, anche i meglio intenzionati e i più bruttini, l’avvertimento severissimo del Nobel per la Letteratura Harold Pinter nel suo scandaloso discorso di accettazione del 2005, quando disse che fra arte e politica la barriera restava insuperabile. Perché l’arte – spiegò con la voce logorata dal male che lo avrebbe ucciso – è il linguaggio della verità , e la politica è il linguaggio della menzogna.
Related Articles
L’israeliano Netanyahu gela americani e russi: «No ai confini del ‘67»
Offensiva diplomatica di Kerry per allentare le tensioni
Patto «d’acciaio» per la Lorena Gli operai si fidano dello sfidante
La promessa sul fiscal pack. Ma l’angoscia per la crisi fa volare al 26% il Front national
Mario Draghi difende Euro e l’Europa fortezza
Contro Le Pen e il protezionismo di Trump il presidente della Bce ribadisce l’austerity e il monetarismo del Trattato di Maastricht