by Editore | 11 Gennaio 2012 7:21
PECHINO – Il giornale dei vecchi proletari di Pechino si affida al mercato dei nuovi capitalisti di Shanghai. Mao Zedong non avrebbe mai immaginato che i suoi eredi, nell’anno del grande passaggio di consegne del potere, avrebbero sostituito i rivoluzionari con gli investitori. La Cina affamata del grande balzo in avanti si è nel frattempo trasformata nella seconda potenza economica del mondo, ad alto rischio di obesità , e la finanza sostituisce l’ideologia come credo unico delle masse. Non scandalizza dunque nessuno l’annuncio che il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del partito comunista, ha deciso di quotare in Borsa il proprio sito Internet.
La notizia segna però uno spartiacque nella storia del Paese e diventa il simbolo del via libera ufficiale del partito al libero mercato e all’informazione online, vissuti fino ad oggi come i nemici più insidiosi del monopolio di Stato sulle tasche e sulla mente della gente. Più che di una scelta, si tratta di una necessità . Il portale People.cn compete con colossi privati come Sina Corp e Sohu, e non riesce a reggere la concorrenza dei siti commerciali. La società “People.cn Co” metterà così in vendita 69,1 milioni di nuove azioni, il 25% del suo capitale, puntando a raccogliere 527 milioni di yuan, pari a 62 milioni di euro attraverso un’offerta pubblica iniziale (Ipo) mediata dalla Borsa di Shanghai. La commissione cinese che regola i mercati si pronuncerà venerdì, ma il sì alla trasformazione del sito ufficiale del partito in un’attività commerciale, è scontato. Altri mezzi d’informazione pubblici premono da mesi. Tra essi, i siti della Cctv, la tivù di Stato, e quello della Xinhua, la storica agenzia di stampa fondata da Mao per diffondere la dottrina marxista, decisa a rastrellare in Borsa oltre un miliardo di yuan.
A colpire gli investitori, nel caso del portale del Quotidiano del Popolo, è che tra gli azionisti ci sono i giganti della new economy statalista di Pechino, come China Mobile, China Unicom e China Telecom, monopolisti delle telecomunicazioni più ricche del pianeta. Ogni cinese, fino ad oggi lettore obbligato della voce del potere, potrà domani in parte controllare lo strumento principale di censura e propaganda, contribuendo da azionista alla crescita di una società che nel 2011 ha quintuplicato il fatturato 2010, macinando utili per 90 milioni di yuan. L’Ipo del giornale online del comunismo cinese fonde così finanza e potere, mercato e Stato, business e autoritarismo, apertura e repressione, diventando lo specchio di quell’ibrido di successo che è oggi il modello-Cina.
Il debutto in Borsa dei nuovi media, in una nazione senza libertà di stampa ma con la più alta tiratura di giornali del mondo, non costituisce però solo un grande affare. Ai nuovi leader di Pechino serve in particolare per finanziare il piano di espansione dell’influenza cinese all’estero. Entro dieci anni la Cina vuole essere la prima potenza culturale del pianeta, sostituendo la secolare egemonia dell’Occidente. Impresa impossibile senza l’internazionalizzazione della sua visione della società , condizione del consenso: e se le “post-Mao-news” saranno premiate anche dai finanzieri di Wall Street, la vittoria del Pcc si rivelerà un trionfo.
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